Brusaferro ci spiega quando potremo avere più libertà e meno restrizioni

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-05-03

In un’intervista alla Stampa, il presidente dell’Iss e portavoce del Cts Silvio Brusaferro sottolinea che “siamo in una fase di transizione delicata”

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In un’intervista alla Stampa, il presidente dell’Iss e portavoce del Cts Silvio Brusaferro sottolinea che “siamo in una fase di transizione delicata”

Brusaferro ci spiega quando potremo avere più libertà e meno restrizioni

“Occorre mantenere l’Rt sotto 1, avvicinarsi alla soglia dei 50 casi settimanali ogni 100 mila abitanti, ridurre ancora la pressione sui servizi sanitari e aver vaccinato più di metà popolazione”. Sono questi, per Silvio Brusaferro, i requisiti minimi per allentare ulteriormente le restrizioni in vigore. Il presidente dell’Iss e portavoce del Cts sottolinea che “siamo in una fase di transizione delicata, di decrescita lenta ma costante della diffusione del virus. Per evitare che la curva torni a crescere serve intervenire a tre livelli: primo, continuare a vaccinare al ritmo sostenuto di questi ultimi giorni; secondo, monitorare bene la situazione e intervenire localmente dove necessario; terzo, ma non certamente ultimo, fino a che non avremo un maggior numero di immunizzati continuare ad adottare comportamenti di prudenza per non essere poi costretti ad adottare nuove misure restrittive”.

Ai 14 milioni di italiani che hanno ricevuto solo la prima dose di vaccino Brusaferro consiglia di “continuare ad essere prudenti. Prima di tutto perché occorrono non meno di due-tre settimane prima che si formi una prima risposta immunitaria che si completa dopo la seconda dose. Mascherine e distanziamento serviranno ancora fino a che larga parte della popolazione non sarà vaccinata, perché anche chi è immunizzato non può escludere il rischio di contagio chi non lo è. Prima di tutto occorre mantenere l’Rt sotto la soglia di sicurezza di 1. Poi ridurre ancora la pressione sui servizi sanitari e avvicinarsi a quella soglia dei 50 casi settimanali ogni 100 mila abitanti che consente di riprendere un tracciamento sistematico dei casi. Fino a che non avremo gran parte della popolazione vaccinata servono prudenza e progressività”.

Quanto alle varianti, secondo Brusaferro, “non tutte devono destare preoccupazione. Bisogna prestare attenzione a quelle che possono aumentare la trasmissione del virus, provocare più casi gravi di malattia oppure ridurre la risposta immunitaria di chi è guarito dal Covid o è stato vaccinato. Sappiamo che quella inglese, che oramai è il 90% del virus circolante in Italia, è più trasmissibile e verosimilmente porta ad aumentare l’ospedalizzazione. Gli ultimi studi di sorveglianza dell’Ecdc europeo suggerisce un possibile aumento del rischio di ricovero per la popolazione contagiata con le tre varianti e in alcuni casi nella popolazione con meno di 60 anni anche in terapia intensiva”.

Riguardo l’efficacia dei vaccini rispetto alle varianti, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità precisa che “rispetto a quella inglese funzionano molto bene, mentre alcuni un po’ meno con quella sudafricana, che fortunatamente circola pochissimo nel nostro Paese. Per la brasiliana gli studi sono in corso e per l’indiana è troppo presto per dirlo”. Anche sui vaccini a base di proteine ricombinanti, spiega, “sappiamo che offrono una risposta immunitaria efficace, anche se dobbiamo aspettare che l’Ema termini di valutare l’enorme mole di dati sperimentali che mano a mano sono sottoposti al suo esame. Credo che entro maggio il processo sarà terminato”.

Infine, Brusaferro sfata le perplessità di chi deve fare il richiamo con AstraZeneca: “Le raccomandazioni fornite da Ema, Aifa e ministero della Salute – afferma – sono di continuare con lo stesso vaccino e arrivano dall’analisi continua di una mole incredibile di dati sui possibili rischi specifici. Dobbiamo fidarci”. Mentre per chi ha completato il ciclo vaccinale già a febbraio, prima di rivaccinarsi, “serve ancora tempo per valutare la durata della risposta immunitaria generata dai vaccini. Man mano che si va avanti i tempi si allungano. Prima l’Ecdc ha indicato in 6 mesi la durata minima dell’immunizzazione, ma nuovi studi già portano l’asticella a 8 mesi ed è probabile che alla fine venga posta ancora più in alto. Appena avremo acquisito dati più stabili sapremo quando fare i richiami”.

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