Cosa ci fa un medico notturno con una fiala di Narcan in mezzo allo shopping natalizio

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Era un tardo pomeriggio prenatalizio di alcuni anni fa, Roma era piena di luci sfavillanti e vetrine che promettevano ogni sorta di felicità consumistica ed io mi trovavo immerso in un ingorgo di quelli da manuale. Fermo, bloccato nella frenesia della corsa agli ultimi acquisti ,”guardavo il mondo da un oblò” e pensavo che, prima o poi qualcuno, o qualcosa mi avrebbe liberato da quella morsa. Le auto erano così tante e così stipate che, se avessi lanciato in aria una moneta, non sarebbe caduta a terra. Follia collettiva. Giocherellavo con il cellulare (lo so che non si fa, ma ero praticamente fermo, dai!) ed ero intento ad ammazzare il più gran numero di mostri alieni che potessi, quando un poliziotto saltò sul cofano della macchina e appiccicò la faccia al mio finestrino. “Lei è un dottore? Ho visto il contrassegno sulla macchina, mi scusi. Lei è medico?”  Avrei voluto rispondere che sì, nel tempo libero mi dilettavo nella nobile arte della medicina ma il volto dell’agente era teso e trasmetteva un’ansia che a momenti me crepava il vetro. “È un’emergenza, è un’emergenza. Lo vede che qui è tutto bloccato e non si passa?” Eh, lo vedo sì, ma che te ce posso fa io? Potrei dare un purgone collettivo per vedere se sto caos se scioglie, se liquefa? Feci il serio. “Mi dica agente, come posso essere d’aiuto?”. “Vede là, tra quei camion parcheggiati?”. “Sì agente, li vedo”. “Abbiamo un ragazzo a terra, è in overdose e l’ambulanza non riesce a passare è bloccata, è bloccata dottore! Ci può aiutare?” Addio mostri alieni, mi hai fatto perde pure la partita, porca paletta! “In overdose, sicuro?”



“Sì, sì dottore, sicuro. S’è fatto di eroina sto coglione!” Faccio in un lampo, prendo la borsa e pianto l’auto lì in mezzo alla strada. Il mostro che ho davanti non è alieno, lo conosco a fondo e s’è portato via un sacco di ragazzi che conoscevo. Corro. Il ragazzo (anzi un ragazzino senza neanche un filo di barba) è a terra, senza conoscenza e respira a fatica. L’eroina, quando si va in overdose, deprime il centro del respiro ed è come se l’organismo venisse soffocato, oppresso da un macigno. È una azione lenta, progressiva, inesorabile. Il corpo del ragazzo si opponeva al martirio con ogni energia ma era una lotta impari. Il mostro che si era iniettato stava vincendo la partita. L’altro poliziotto era inginocchiato accanto al ragazzo e gli urlava: “Respira, respira!” come se, in qualche modo, avesse potuto ascoltarlo. La siringa era a terra ancora intrisa di sangue e un gruppetto di ragazzi era lì vicino con l’aria da curiosi. Erano i suoi amici, ma facevano finta di trovarsi da quelle parti per caso perché non volevano rogne con le guardie nel caso il ragazzo fosse morto. “T’ha detto bene ragazzi’, t’ha detto proprio bene!” – pensavo tra me. Io sono figlio di questi quartieri, non so’ pariolino, e una fiala di Narcan la porto sempre dietro. “Dove sta sta maledetta, dove s’e’ cacciata!” . Rovescio il contenuto della mia borsa sull’ asfalto: “Eccola e mo’ fai il dovere tuo!” Faccio un cenno ad uno dei suoi amici e lo invito ad avvicinarsi mentre preparo la siringa: “Come se chiama sto fenomeno?”



“E che ne so’ io dottò, sto qui de passaggio, non so’ de zona!” E mentre mi risponde guarda fisso il poliziotto. Ho capito il messaggio, tranquillo. “Agente, per favore , mi vada a dare una sistemata alla macchina che l’ho lasciata proprio in mezzo!” Il poliziotto, anche lui un ragazzo, che si distingueva dal gruppetto di tossici solo per la divisa che indossava, era anche lui un figlio di borgata, del cemento cotto al sole e dei graffiti de merda che esprimono il disagio, si allontana svelto. “Allora, come si chiama?”. “Dotto’ se chiama Emiliano, ma noi lo chiamamo Biscotto!”. “De che s’è fatto?”. “Eroina, qui se famo de eroina. Lui s’è comprato cinquanta mila lire de roba e se l’è fatta tutta. C’aveva la scimmia dotto’ la scimmia. Nun s’è regolato!” Mentre mi raccontava di Biscotto io cercavo i buchi sulle braccia. Un vecchio amico, medico del Sert, mi aveva insegnato che è meglio se all’ antidoto gli fai fare la stessa strada della droga, fa prima e non si spreca. Non trovo buchi, zero. Il ragazzo nota la mia perplessità e mi guida: “Sul collo, dotto’ s’e’ fatto sur collo. Noi venimo qui perch? ce stanno gli specchietti retrovisori dei camion, te guardi allo specchio, che sta in alto, e te riesci a prenne la vena senza manco il laccio! La botta t’ arriva subito ar cervello, dotto’!” Cristo santo, questi sono una manica di pazzi scatenati.

Rapidamente scosto i capelli del ragazzo e trovo il foro, inietto il narcan e lo piglio a pizze. “Biscotto, Biscotto, daje, respira, respira! Me senti ? Daje Biscotti’, daje!” I poliziotti sono tornati e l’amico di Biscotto è svanito nel nulla, in questo caso i poli opposti non si attraggono ma si respingono. “Dottore l’ambulanza è vicina, si sentono le sirene. Si salverà?” Il narcan gliel’ho iniettato nella giugulare e si sta mangiando tutta l’eroina, il respiro inizia a ritornare ritmico e regolare: si sveglia! “Bisco’,come stai ? Te possino, ci hai fatto prende un colpo!” e continuo a riempirlo di buffetti. È arrivata l’ambulanza e rapidamente lo caricano. Si volta, mi guarda e fa: “Grazie, si n’era per te mo’ già stavo all’alberi pizzuti! Batti er cinque dotto’!”.  Qualche giorno dopo me lo sono ritrovato davanti alla mia postazione di servizio, ci siamo abbracciati e siamo diventati amici. Da allora Emiliano ha fatto la comunità, si è disintossicato, si è trovato una brava ragazza e ora ha una bimba di pochi mesi. Mi ha voluto tenere informato di ogni passo della sua vita, su quel selciato è nato una legame di affetto e riconoscenza. Stamattina è venuto a cercarmi. “Emiliano, buongiorno, che c’è?”



“Solo tu me puoi aiutà, dotto’!”. “Che te serve ? Non me chiede soldi che, lo sai, non te li do. Hai fatto impicci? C’hai le guardie ar culo?. “No dotto’, niente de questo. Ho trovato un lavoro ar forno, qui dietro ma er principale nun se fida de un tossico, anzi ex tossico. Viecce a parla’ tu, a te poesse che te sta a senti’. Quel lavoro me serve, ho bisogno per la bambina . È un lavoro regolare, me versa pure le marchette!”. Questa società si gonfia di belle parole, di buoni propositi ma se ti attaccano una etichetta addosso, non te la leva più nessuno. Un tossico resta tossico a vita, un galeotto resta un delinquente per sempre. Non ci sono vie di fuga: una volta che sei nella merda, ci resti. A queste persone facciamo fare la fine dei topi in gabbia. “Certo Emilià, e poi a lavora’ al forno, uno che se chiama Biscotto, ce sta’ a pennello, no?”. Sorride e mi ringrazia. “Annamo Emilia’, annamo che la giornata è lunga!”

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