Come i 5 Stelle hanno intenzione di fare i “Salvini” del governo giallorosso

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Dietro la nemmeno troppo nascosta "ritirata" del M5S da certe posizioni di potere si potrebbe nascondere una raffinatissima strategia (leggi: la stessa usata da Salvini) per riconquistare consensi e popolarità lasciando agli altri le decisioni più impopolari. Perché non è sempre vero che il potere logora chi non ce l'ha. Il trucco è sempre quello di Umberto Bossi: fare l'opposizione a sé stessi mentre si sta al governo

La manovra, va detto, non è ancora stata capita dagli elettori del MoVimento 5 Stelle che infatti oggi ancora non si capacitano di quella che ai loro occhi sembra una resa a tutti gli effetti. Il Partito Democratico ha ottenuto 9 ministeri, alcuni di primaria importanza, il M5S, che ha il doppio dei voti in Parlamento “solo” 10, e poi c’è quel ministero dato a LEU. Per le truppe pentastellate è inconcepibile.



Sorpresa: adesso Giuseppe Conte è del MoVimento 5 Stelle

Va ricordato però che i ministeri non si contano, ma si pesano, come dice il vecchio adagio. E che anche nel precedente governo il rapporto era simile: otto dicasteri per il M5S e sei per la Lega (a cui vanno aggiunti i due vicepremier, figura oggi scomparsa). Detto questo è vero che ad una prima occhiata il M5S sembra aver perso qualcosa. Non ha il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non ha il Ministero della Difesa, quello dell’Interno (che però è affidato ad una figura “tecnica”) e soprattutto non ha il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, quello che fu del concentratissimo Toninelli. D’altra parte i pentastellati mantengono il Lavoro e lo Sviluppo Economico (non più accorpati sotto un solo ministro), la Giustizia e soprattutto la Presidenza del Consiglio. Dopo la decisione di non nominare vicepremier ma un Sottosegretario (Riccardo Fraccaro) Palazzo Chigi è saldamente in mano ai 5 Stelle.



E che Conte non sia una figura “terza”, “garante” o un Elevato – tutte parole per dire che non era un premier politico e che non era del M5S – non lo nasconde più nessuno. Ad esempio l’ex sottosegretario Manlio Di Stefano, rispondendo ai numerosi commenti di elettori indignati e delusi risponde «tutto Palazzo Chigi è del M5S e i ministeri più importanti pure». E poco più sotto ribadisce che «a Palazzo Chigi non c’è il PD mentre la Lega aveva Giorgetti». Questa è la vera vittoria: avere un PdC politico. Certo, a lungo andare potrebbe creare problemi per Di Maio ma non è detto che la Farnesina, una casella importante ma poco “visibile” non possa aiutarlo a recuperare consensi personali. In fondo a fianco di Conte c’è Fraccaro, uno dei suoi fedelissimi.

Perché il M5S ha “rinunciato” a certi ministeri?

Bisogna però guardare le cose in prospettiva e non solo così come sono ora. Ad esempio togliendosi i ministeri degli Interni, della Difesa e delle Infrastrutture (ci saranno sicuramente dei sottosegretari) il M5S si è levato anche un grosso problema, anzi due. Il primo è quello della gestione dei flussi migratori: ora in mano ad una figura “terza” che prevedibilmente farà da punching ball per le lamentele sia del PD che del M5S. Ma – come prevede il Decreto Sicurezza Bis – le decisioni sulla “chiusura dei porti” e sul divieto di ingresso alle navi delle Ong vanno prese di concerto con Difesa e Trasporti (sentito il Presidente del Consiglio, ma quello è inevitabile). In questo modo il MoVimento si riserva la possibilità di attaccare i ministri del suo stesso governo (ma dell’odiato PD) qualora il sentimento popolare per la nuova linea sui migranti non dovesse riscuotere consensi.



Il secondo problema riguarda esclusivamente il Ministero di Paola De Micheli, quello dei Trasporti. Non essendo più un ministero a 5 Stelle toccherà al PD (nell’immaginario, perché poi le decisioni del Governo sono sempre collegiali) risolvere il nodo Alitalia, la questione dell’eventuale revoca della concessione ad Autostrade, andare avanti sulla TAV e su tutte le altre colate di cemento impostate da Toninelli (per tacere della promessa circa la ricostruzione del Ponte Morandi). Tutti dossier sui quali il M5S potrebbe avere buon gioco a dire “vedete, non siamo noi, sono i soliti del PD” oppure “quando c’eravamo noi certe cose non le avremmo fatte”. Ed il bello è che sarebbero ancora al Governo.

Last but not least: il MEF. Per la prima volta dai tempi del governo Monti non affidato ad un tecnico indipendente (anche Padoan lo era al momento della nomina) ma ad un politico: Roberto Gualtieri del Partito Democratico. Anche qui il gioco è semplice e sarà lo stesso usato per Tria, con il vantaggio di poter attaccare contemporaneamente il PD. Se non ci sono i soldi per mantenere le promesse (non importa quanto mirabolanti) la colpa sarà del ministro del PD. Idem se ci saranno da fare tagli impopolari o aumentare le tasse. Da parte sua il M5S conserva il vantaggio “strategico” dei ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico, quelli da dove Di Maio ha abolito la povertà (chissà se ora sarà ripristinata) e lanciato il Reddito di Cittadinanza (che però di fatto ancora non crea lavoro e quello sarà un problema). Sembra proprio che il MoVimento 5 Stelle abbia assimilato la lezione dell’esperienza con la Lega e si prepara ad essere al tempo stesso un partito di lotta e di governo, nel solco della tradizione bossiana.

Ci sono però due avvertimenti da fare: il primo è che non è detto che il giochino funzioni, a lungo andare attaccare il governo dove si esprime il Presidente potrebbe essere controproducente. A meno ovviamente di non puntare a limitare l’ascesa di Conte. Il secondo è tutto scritto nella frase che i neoministri (del PD e del M5S) hanno pronunciato oggi al momento del giuramento: «giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione». Interesse esclusivo del Paese, un potere che non deve essere esercitato al fine di accrescere consensi di questa o quella parte politica.

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