«Ho incontrato al Ministero i #pastorisardi, obiettivo: risolvere il problema entro 48 ore». È passato un anno da quell’annuncio di Matteo Salvini, ma il prezzo del latte di pecora non ha subito variazioni di rilievo e i pastori ancora aspettano che qualcuno mantenga le promesse per arrivare al fatidico “un euro al litro”. Quando l’allora ministro dell’Interno fece la sua era il 12 febbraio 2019, eravamo nel pieno di una campagna elettorale a poco più di due settimane dal voto delle regionali in Sardegna.
In questi dodici mesi non è che sia successo molto. Passate le elezioni e dopo la vittoria del leghista Christian Solinas il governo gialloverde e Salvini si dimenticarono presto della vertenza sul latte sardo. Fu solo con il nuovo esecutivo che la neo-ministra delle Politiche Agricole e Forestali Teresa Bellanova iniziò a mettere i soldi, una parte di quelli promessi dall’ex titolare del Viminale e che non erano mai arrivati in Sardegna.
Perché se c’è una cosa chiara, e lo disse la ministra Bellanova a ottobre dello scorso anno, non esiste la possibilità di poter stabilire “politicamente” il prezzo del latte: «c’è chi è venuto qui a garantire il pagamento del latte di un euro al litro, senza dirvi come raggiungere il risultato. Io posso dirvi che non ho mai trovato carte che affermassero questa cosa. Quelli che vi dicono che si può stabilire il prezzo del latte con un decreto, vi prendono in giro». A novembre CopAgri aveva giudicato che 85 centesimi al litro fosse il prezzo giusto per il saldo della scorsa campagna lattiero casearia e per l’acconto della stagione 2019-2020.
Ci si ritrova così, ad un anno dalle promesse salviniane quasi allo stesso punto di partenza. Lo dicono gli stessi pastori che magari avevano convintamente creduto alle balle di Salvini. Il problema è che ora Salvini non c’è più ma non sembra che ci sia qualcuno, dalle parti della politica, che abbia magari il coraggio di dire che la richiesta di un euro al litro per il latte di pecora non è realizzabile alle attuali condizioni di mercato. Gran parte del latte viene utilizzato per la produzione del Pecorino Romano DOP, un formaggio di qualità ma non “famoso” come altre eccellenze italiane e non certo con una qualità tale da giustificare un rialzo del prezzo per pagare di più i pastori.
Attualmente si vende tra i 6 e i 7 euro al kg (niente a che vedere con altri formaggi) e per poter soddisfare le richieste degli allevatori dovrebbe essere venduto a circa 8.50 euro al kg. Sempre tenendo presente che il Pecorino Romano DOP da disciplinare deve essere venduto con una stagionatura minima di 5 mesi quindi stiamo parlando di latte venduto cinque mesi prima della messa in commercio del prodotto finito. La politica dovrebbe per una volta dire la verità: non è possibile anche per un altro problema, la sovrapproduzione. Hai voglia poi a vendere la promessa che l’apertura di nuovi mercati (dove? stiamo pur sempre parlando di pecorino, non dimentichiamocelo) possa essere la soluzione a tutti i mali che affliggono il settore, il mercato non sarebbe in grado in ogni caso di assorbire la produzione. Certo, si può intervenire meglio sulla regolamentazione del mercato, sul controllo della filiera e sul sostegno agli allevatori. Che però da parte loro devono anche – diceva CopAgri – ridurre i costi di produzione. Perché la salvezza dei pastori sardi passa anche per un maggiore efficientamento della produzione. Ma curiosamente la politica non lo dice, meglio tenerseli buoni e prendere i voti.
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