Cosa c’è nell’accordo sulla Manovra (e perché il governo non ve lo spiega)

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Il governo Conte ha concordato con i cattivoni dell'Europa incrementi di tasse o nuove gabelle, tagli ai fondi per gli investimenti e rinvii di spese che fino a ieri erano state vendute come assolutamente urgenti. In più ha lasciato una mina sui conti del 2020. Per un motivo ben preciso

Da una parte c’era una Commissione Europea in scadenza, dall’altra un governo che aveva dalla sua il 60% degli italiani. Da una parte c’erano le dichiarazioni paludate dei commissari, dall’altra un vicepremier che con maschia determinazione proclamava che la UE poteva mandare anche dodici lettere da qui fino a Natale, ma la Manovra del Popolo non sarebbe cambiata di una virgola.



Cosa c’è nell’accordo sulla Manovra

E infatti c’è ben più di una virgola nel compromesso che il governo Conte ha firmato con Bruxelles oggi senza spezzarle le reni come annunciato ma rinunciando sin da subito a 6,5 miliardi di euro di spesa in deficit che ufficialmente deriva da presunti “risparmi” sul reddito di cittadinanza e su quota 100 ma che non finisce in altre spese come avevano promesso i due vicepremier. I quali, come loro abitudine, si sono prudentemente eclissati durante le comunicazioni del presidente del Consiglio al Parlamento che dovevano sancire l’accordo di Bruxelles: non a caso vicino al povero Conte sono rimasti stasera Moavero e Tria, ovvero i due che hanno lavorato con lui all’accordo raggiunto che ha salvato l’Italia da una crisi dello spread che sarà ancora più scongiurata dalle parole di Salvini sull’Europa “da cambiare dal di dentro” senza lasciare l’euro, apprezzatissime dal popolo di Twitter che aveva votato Lega perché gli avevano detto che voleva uscire dall’euro.



Nell’ordine, per rispondere alle richieste della Commissione Ue “sono state affinate le misure contenute nel disegno di legge di bilancio”, ha detto oggi Conte, rivedendo l’onere annuo delle misure del Fondo per il reddito di cittadinanza e quello per gli interventi pensionistici ma mantenendo integro l’impatto concreto di queste due misure. Su lato delle entrate, nella Manovra che ha Bruxelles come coautore si prevede la revisione delle ‘clausole di salvaguardia Iva’ per gli anni 2020-2012, l’istituzione di un’imposta sui servizi digitali gravante sui soggetti che nell’esercizio di attività di impresa prestino servizi digitali e che superino determinate soglie di ricavi; l’abrogazione del credito di imposta relativo alle deduzioni forfettarie in materia di Irap riconosciute in favore dei soggetti passivi che impiegano lavoratori dipendenti a tempo indeterminato in alcune Regioni; l’abrogazione del credito di imposta in favore dei soggetti che compiono investimenti in beni strumentali nuovi; l’abrogazione dell’aliquota ridotta Ires in favore degli enti non commerciali; un pacchetto di misure che incrementa il prelievo nel settore dei giochi attraverso l’aumento del Preu applicabile agli apparecchi da divertimento e intrattenimento e la riduzione delle percentuali minime di pay-out; inoltre, si introduce dal primo gennaio 2019 l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.  Per le amministrazioni centrali si prevede un rinvio della presa di servizio degli assunti al 15 novembre 2019, ma limitato alle assunzioni derivanti del turn over ordinario dell’anno precedente. E questo sarà sicuramente apprezzato da chi fino all’altroieri annunciava piani per assumere 450mila statali.

Come cambia la Manovra del Popolo (con il timbro di Bruxelles)

Non è tutto: sono previste misure volte a definanziare le risorse del Fondo per favorire lo sviluppo del capitale immateriale, la competitività e la produttività di 75 milioni di euro per l’anno 2019 e di 25 milioni di euro per l’anno 2020. Sono state riprogrammate poi una rimodulazione delle disponibilità di cassa del Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale destinato a misure per il superamento degli squilibri socio-economici territoriali, per 800 milioni di euro per l’anno 2019, e una rimodulazione delle risorse finanziarie per le Ferrovie dello Stato per 600 milioni di euro per l’anno 2019, prevedendo un incremento, per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024, di 200 milioni di euro delle risorse destinate alla società; infine, il governo ha previsto una rimodulazione, con riduzione di 850 milioni di euro per l’anno 2019 e un incremento, per progressivo per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024, di 150 milioni di euro e, per l’anno 2025, di 100 milioni di euro della quota nazionale per il finanziamento delle politiche comunitarie.



Come si vede, si tratta in massima parte di incrementi di tasse o nuove gabelle, tagli ai fondi per gli investimenti e rinvio di spese che fino a ieri erano state vendute come assolutamente urgenti. E questo, insieme all’accento posto in tante occasioni sugli investimenti dal ministro Tria, fornisce l’esatta dimensione della credibilità di certi discorsi programmatici e di certi politici. Ci sarà anche una spending review per i ministeri, annunciata in più occasioni dal MoVimento 5 Stelle che però per attuarla davvero ha dovuto aspettare “l’ordine di Juncker”, come direbbe Napalm51. Il governo, fanno sapere da Bruxelles, si è anche impegnato a congelare due miliardi di euro di spese che saranno sbloccate solo a determinate condizioni. E ha ceduto sulla crescita programmata, con ciò rimangiandosi tutte le fregnacce con cui Tria ha cercato di ribattere a tutte le istituzioni che lo smentivano, ma ottenendo in cambio un miglioramento sul deficit strutturale che è stato decisivo per l’ok finale.

Le clausole di salvaguardia sono il male, anzi non sono poi tanto male

Un punto importante per la valutazione finale l’ha spiegato il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis in conferenza stampa a Bruxelles dopo aver annunciato che la procedura d’infrazione non verrà aperta: “Una parte cospicua dell’ammontare delle modifiche che hanno consentito all’Italia di evitare che la Commissione Europea oggi raccomandasse al Consiglio l’avvio di una procedura per debito deriva dall’entrata in vigore ritardata delle due principali misure espansive, il reddito di cittadinanza e le modifiche delle riforme delle pensioni”. “Questo vuol dire che – e qui viene il bello – quando queste misure entreranno pienamente in vigore, avranno come risultato costi più elevati per gli anni a venire. Nel 2020 e 2021 l’Italia intende compensare i costi attivando le clausole di salvaguardia, aumentando l’Iva. Tuttavia sappiamo che in passato l’Italia non ha attivato le clausole di salvaguardia: se questo dovesse accadere ancora, consistenti risorse dovrebbero essere reperite altrove”.

Quello che ha detto il commissario va compreso pienamente: nonostante la NADEF riportasse una programmazione fino al 2021, attualmente le misure più costose della Manovra (reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni) non sono finanziate per gli anni successivi. O meglio: si dice che se non si troveranno altri fondi potrà crescere l’imposta sul valore aggiunto come copertura e l’incremento è automatico: ovvero, scatterà a meno che non si legiferi in senso contrario entro la fine del 2019. Lega e M5S dall’opposizione hanno sempre strillato contro le clausole di salvaguardia e sostenuto che un aumento dell’IVA sarebbe stato un disastro per i consumi, mentre Tria nella sua attività di accademico aveva aperto all’aumento dell’imposta sul consumo per tagliare quelle sul lavoro, secondo la stretta scuola (teorica, perché nella prassi non l’ha mai fatto) di tremontiana memoria. Ci si aspetta quindi che i partiti al governo trovino coperture alternative per non far scattare le clausole: si tratta di trovare appena 24 miliardi di euro, che sarà mai? Oppure, come comincia già a dire qualche malfidato, si è pensato che l’orizzonte del 2020 fosse troppo distante per i programmi di questo governo. Sia come sia, speriamo che qualcuno non faccia fare agli italiani la fine dei noeuro.

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