Il mistero buffo dei soldi alle fondazioni dei partiti

Categorie: Fact checking, Politica

Ce ne sono più di cento solo ma sei, ovvero il 2,97% del totale, pubblicano gli elenchi dei loro finanziatori. E così un problema di trasparenza e di democrazia si fa sempre più urgente mentre il loro ruolo diventa sempre più prominente nel finanziamento della politica

In Italia ci sono 101 fondazioni politiche ma solo sei, ovvero il 2,97% del totale, pubblicano gli elenchi dei loro finanziatori. E così un problema di trasparenza e di democrazia si fa sempre più urgente mentre il loro ruolo diventa sempre più prominente nel finanziamento della politica. Con tutto ciò che ne deriva in addendum, come l’inchiesta su Lanzalone e Parnasi ci ha insegnato.



Il mistero buffo dei soldi alle fondazioni dei politici

Il dossier di Openpolis sulle fondazioni politiche rivela che sui think tank sappiamo poco, molto poco e tutto questo non può che alimentare la cultura del sospetto all’italiana. Nei bilanci ufficiali dei partiti non c’è traccia dei contributi delle fondazioni, o quasi. Spiega oggi Repubblica che i dem mettono alla voce “contribuzioni da persone giuridiche” 185 mila euro nel 2017 e 545 mila euro nel 2016. Ma chi sono i finanziatori non si sa. La Lega iscrive a bilancio appena mille euro di “contributi da persone giuridiche” e un milione di euro da “persone fisiche” mettendo in elenco, di fatto, tutti i parlamentari che versano il contributo al partito. Forza Italia nell’ultimo bilancio approvato mette in entrata 320 mila euro di contributi ricevuti da imprenditori e società. E nella nota integrativa compare un piccolo elenco di aziende: tra queste, con un contributo che varia dai 10 ai 20 mila euro, la Italcanditi spa di Pedrengo, la L3sas di Arezzo, che si occupa di assicurazioni, la Sanambiente service di Roma e la Ecofast sistema srl, azienda di pulizie e disinfestazioni.

Fondazioni politiche: il dossier OpenPolis

Per il resto nulla: anzi, compaiono una decina di donazioni da 50 mila euro ma i nomi sono omissati. Anche chi si fa portatore dello slogan della trasparenza, il M5S, in realtà non pubblica un solo nome in virtù del rispetto della privacy che prevede, senza il consenso esplicito dell’interessato, il divieto di rendere noto il nome del finanziatore.



Lo scorso giugno sul blog dei 5 stelle è stato annunciato che, attraverso l’associazione Rousseau, il movimento ha ricevuto donazioni per circa 350 mila euro: «Ed ecco l’elenco dei finanziatori – si legge nel spot – non c’è nessuna norma che obbliga l’associazione Rousseau a farlo, noi lo facciamo perché non abbiamo nulla da nascondere e perché la trasparenza per noi viene prima di tutto». Ma l’elenco è composto solo dalle iniziali dei donatori.

Le 101 fondazioni politiche italiane

In Italia ci sono 101 fondazioni politiche, in tumultuosa crescita negli anni Duemila: in gran parte rispondono al centrodestra o al centrosinistra ma c’è anche quella di Davide Casaleggio per il MoVimento 5  Stelle. pSecondo Openpolis solo sei di queste associazioni pubblicano, con uno stringato bilancio, anche un elenco dei soci e dei finanziatori: si tratta dell’Aspen, della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, della Fondazione sviluppo sostenibile, dell’Italia decide di Luciano Violante, della Symbola di Ermete Realacci e della Open di Matteo Renzi, che pubblica un lungo elenco di finanziatori dal 2014 al 2018 nel quale compare il re della chimica scomparso nel 2015, Guido Ghisolfi, il finanziere Davide Serra, ma anche l’Aiop, la potente lobby delle cliniche private.



Le principali fondazioni legate alla politica (Corriere della Sera, 7 marzo 2017)

E poi c’è la cronaca. Che racconta delle minacce di querela della Fondazione Eyu, creatura del tesoriere del Partito Democratico Francesco Bonifazi, al Corriere della Sera per aver raccontato dei 123mila euro di Parnasi per uno studio sul rapporto tra italiani e unità immobiliari dal titolo “Casa, ma solo di proprietà?”. Oppure  i rapporti tra Matteo Salvini e lo stesso Parnasi, e della Onlus Più Voci: 250mila euro nel 2015. «Erano soldi che mi servivano per arrivare ai partiti e in certi ambienti», ha ammesso Parnasi secondo il Corriere della Sera, riconoscendo che i pagamenti sarebbero avvenuti senza una apposita delibera dei cda delle aziende del costruttore e dunque in maniera illecita.

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