In qualche bar si può trovare ancora il cartello “Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno”: è un modo sarcastico di spiegare che siccome qualcuno ha l’abitudine di non pagare le consumazioni, allora nell’esercizio sono abolite le consumazioni a credito. E la frase contribuisce anche a spiegare perché ieri durante la conferenza stampa di Giuseppe Conte la montagna della fase 2 ha partorito il toposorcio di una chiusura generalizzata praticamente confermata se non per le attività produttive, la ristorazione da asporto e le visite “ai congiunti”, le uniche attualmente consentite.
Per farlo è utile dare un’occhiata a quanto scrive oggi Il Messaggero in un retroscena firmato da Simone Canettieri, che racconta come dietro la prudenza dell’esecutivo la curva in salita dei contagi di Milano. E anche, vale la pena aggiungere, quella del Piemonte, che ieri ha superato i contagi della Lombardia per numero di abitanti:
Nella domenica dell’Annuncio i dati che provengono dalla Lombardia continuano a essere complicati e densi di preoccupazioni: a Milano è tornato a crescere il dato dei contagiati, anche se in Lombardia sono calati i decessi, ieri a più 56. Campanelli d’allarme che ieri hanno fatto rimettere al centro della task force di Vittorio Colao che parla con il Governo l’indice di contagio R0 e la capacità delle singole regioni di predisporre letti di terapia intensiva in caso di ritorno del contagio.
Ecco perché ieri pomeriggio Conte ha fatto capire agli enti locali e poi a governatori che se il numero dei contagi dovesse risalire il Governo e le Regioni sarebbero obbligate subito a emanare misure ancora più stringenti. Di fatto il ritorno della quarantena. Ma i nodi da sciogliere sono tantissimi. E il pericolo che dal 4 maggio scatti una circolazione fuori controllo preoccupa il governatori del Sud.
I numeri d’altro canto sono questi: i nuovi positivi al coronavirus ieri sono stati 2.324, mentre sono morte altre 260 persone. In tutto le vittime in Italia hanno raggiunto la cifra di 26.644. I malati sono 106.103 e dall’inizio dell’epidemia, il numero dei casi ha raggiunto i 197.675. Siamo dunque alla vigilia dei 200 mila contagiati. Ma, spiega oggi Elena Dusi su Repubblica, le differenze tra le regioni sono impressionanti:
La prima regione per numero di malati rimane la Lombardia, con 35.166. Ieri i tamponi positivi sono stati 920. Tornano dunque a crescere dopo il rallentamento di sabato. In questa regione si sono registrati circa un terzo dei contagi d’Italia e la metà delle morti. Nemmeno a Milano l’epidemia sembra volerne sapere di infiacchirsi. Nell’area metropolitana si sono registrati 463 nuovi casi, circa la metà dell’intera regione. Nella città vera e propria i tamponi positivi sono stati 241. Ieri l’incremento era stato più contenuto: rispettivamente di 219 e 80 casi. A soffrire di più, dopo l’epicentro Lombardia, è il Piemonte, che ha 15.519 persone positive. L’Emilia Romagna ne ha 12.341 e il Veneto 9.138. Il traguardo dei “contagi zero” ieri non è stato toccato da nessuna regione, ma la Calabria ne ha avuto solo uno e l’Umbria due, mentre a Roma non si registrano vittime da 48 ore.
Ecco quindi che mentre le differenze tra regione e regione si fanno più marcate, l’esecutivo si trova in un dilemma del prigioniero di difficile risoluzione: i numeri ci dicono che in alcune zone d’Italia la situazione è relativamente vicina all’essere sotto controllo (il traguardo dei contagi zero quasi raggiunto in alcune regioni) ma scegliere una riapertura a macchia di leopardo porterebbe alla divisione netta dell’Italia in “buoni e cattivi” e, di conseguenza, alle relative polemiche. Ricordate qualche giorno fa quando Cirio e Fontana, non a caso governatori di Piemonte e Lombardia, dicevano che il Sud non avrebbe potuto riaprire senza il Nord? Il senso politico di quell’affermazione è che una riapertura in alcune zone insieme alla chiusura perpetuata nelle altre potrebbe scatenare diversi problemi dal punto di vista politico. E dare fiato – e forza – all’opposizione.
Qualche giorno fa l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiani ha pubblicato una mappa che pronostica quando finiranno i contagi da Coronavirus SARS-COV-2 nelle regioni italiane. Secondo la mappa quelle del Centro-Nord in cui la diffusione di Sars-Cov-2 è iniziata prima, saranno “verosimilmente” le ultime a liberarsi dalla morsa di COVID-19. E il problema è proprio questo: le previsioni sul Centro-Nord in ritardo cozzano con le ambizioni e gli obiettivi di alcuni di quei governatori.
D’altro canto che la decisione di riaprire fosse una questione di scelte politiche lo ha detto anche il Comitato Tecnico-Scientifico sull’emergenza Coronavirus quando ha spiegato che i tecnici si sarebbero limitati a consigliare ed evidenziare. È evidente che la responsabilità è tutta politica. E se c’è il fondato timore che la famosa APP Immuni alla fine non penetri nella popolazione come sarebbe necessario per questioni di privacy, mentre i test sierologici ad oggi non danno affidabilità al 100% e tantomeno patenti di immunità – anche se chi li vende vuole farlo credere a tutti i costi – e non c’è alcuna prova che chi si è ammalato di COVID-19 sia successivamente immune al Coronavirus SARS-COV-2, l’unica scelta di prudenza che può fare il Prigioniero del Consiglio è sciogliere il dilemma nel modo più conservatore: oggi per colpa di qualcuno non riapre più nessuno. Il dettaglio che forse Conte non ha considerato è che in questo modo ha prima creato l’aspettativa di un ritorno alla quasi-normalità e poi l’ha negata repentinamente creando malcontento. Oggi il premier ha una popolarità impressionante, che si spiega in buona parte con l’attitudine nei momenti difficili a stringersi attorno alle istituzioni. Ma il consenso è un muro che crolla un granello alla volta.