Come il coronavirus sta mostrando i limiti della sanità privata (mentre il SSN rimane senza fondi)

Categorie: Economia, Fact checking

In Lombardia i posti di terapia intensiva per i pazienti affetti da Covid-19 potrebbero non bastare e la Regione chiede aiuto ai privati, che però per il momento mettono a disposizione quattordici (14) medici. E così l'emergenza sanitaria mette in luce come il "modello lombardo" del sistema sanitario non funziona poi così bene. E pensare che la Lega non riteneva importante il medico di base...

La diffusione dell’epidemia di coronavirus Covid-19 ha creato un’emergenza sanitaria in Italia, in special modo nelle due regioni più colpite: Lombardia e Veneto. Si tratta di due regioni considerate un modello per la gestione del servizio sanitario. In particolare è la Lombardia del Presidente Attilio Fontana ad essere maggiormente in difficoltà. La gestione dell’emergenza sta infatti mettendo a dura prova il sistema, non tanto a causa del numero di persone positive al coronavirus quanto per il numero di pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva.



La Regione Lombardia chiede ai privati posti di terapia intensiva

I pazienti più gravi devono essere ricoverati in rianimazione e in terapia intensiva. L’assessore al Welfare Giulio Gallera ha dichiarato a Sky Tg24 che il numero di posti totali in terapia intensiva è 900. Di questi 121 sono stati inizialmente destinati ai pazienti affetti da Covid-19, che per ovvie ragioni devono essere messi in isolamento per evitare di diffondere il contagio. Ma questi posti rischiano di non bastare più. Non è dato quanti pazienti siano attualmente ricoverati in terapia intensiva nella sola Lombardia, i dati del Ministero della Salute parlano di 140 ricoverati in terapia intensiva su tutto il territorio nazionale.

L’assessore Gallera a SkyTg24

I casi accertati in Lombardia sono invece 984. Venerdì scorso una nota della Regione rendeva noto che «in base ai casi accertati la diffusione del virus è ancora circoscritta e l’incidenza è alta in alcune aree pari a circa al 4% della popolazione regionale. Il COVID-19 per il 90% dei pazienti è facilmente risolvibile, ma nel restante 10% dei casi, soprattutto se anziani o con un quadro clinico compromesso, richiede il passaggio in terapia intensiva». Motivo per cui, ha dichiarato Gallera, la Regione in queste ore sta tentando di recuperare altri 50 posti in altri reparti ed è stato chiesto l’aiuto anche da parte dei privati convenzionati.



La denuncia del presidente della Società degli anestesisti: il sistema reggerà pochissimo

Attilio Fontana ci ha tenuto a ringraziare il settore privato della sanità regionale annunciando che «una serie di medici, se non sbaglio 14, entreranno nel nostro sistema per collaborare». Per Gallera invece il sistema sta reggendo molto bene. Non così la pensa Alessandro Vergallo, presidente della Società degli anestesisti e rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac) che durante la trasmissione Radio1 Giorno per Giorno, su Rai Radio 1 ha detto che nei reparti di terapia intensiva in Lombardia «la situazione è drammatica» e che «il sistema può reggere ancora pochissimo».



Secondo Vergallo in Lombardia «i posti liberi in terapia intensiva si contano sulle dita di due mani. Il margine di compensazione che c’era fino a un paio di giorni fa si sta riducendo drammaticamente». Per far fronte all’emergenza, ha aggiunto «è apprezzabile l’offerta di disponibilità di altre regioni, ma in questa fase credo si possa intervenire prima e più efficacemente ricorrendo ai posti di rianimazione delle strutture private». Quanto alla situazione del personale nei reparti di terapia intensiva, secondo Vergallo, «in Lombardia siamo al lumicino: sono state annullate ferie e recuperi, si soprassiede alle normative sui riposi». Al momento in cui siamo, «il sistema può reggere ancora pochissimo, bisogna trovare il prima possibile soluzione alternative». Aaroi, pertanto «non si opporrà all’utilizzo di pensionati, pur se la soluzione non ci piace in termini generali».

Il coronavirus come occasione per rimettere al centro il SSN

Qualche giorno fa a Repubblica Vergallo aveva dichiarato che «con i tagli alla sanità abbiamo perso il 5-6% di specialisti in 5 anni» sottolineando la mancanza di 3-4 mila specialisti in rianimazione mentre dalle pagine del Sole 24 Ore aveva invitato a vedere l’emergenza come «una occasione per fare una riflessione su cosa non ha funzionato nel regionalismo in Sanità e di come serva ricentralizzare parte della gestione del Servizio sanitario nazionale». Ora è inutile nascondercelo, come dice il rapporto GIMBE il definanziamento del SSN è una delle cause di questa situazione che ha portato – tra le altre cose – ad una riduzione dei posti letto (in generale, non solo in terapia intensiva che è uno dei reparti più “costosi”).

In tutto questo come entra in gioco la sanità privata? Negli anni – soprattutto in regioni come la Lombardia –  è stato deciso di spostare l’offerta sanitaria verso i privati, perché i tagli comportano di fatto una maggiore difficoltà nell’erogare le prestazioni sanitarie da parte del pubblico. Che questa sia una visione molto “leghista” della Sanità ce lo ricordava qualche tempo fa il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti quando disse «nei prossimi cinque anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti?» spiegando appunto che la gente ormai guardava su Internet ed andava dallo specialista, privatamente. Insomma inutile spendere per la sanità pubblica, che siano i medici di base o, chissà, i costosi reparti di rianimazione o terapia intensiva. Ci pensano gli specialisti nei loro studi privati o nei centri di medicina. Oppure la sanità convenzionata. Che però non ha le risorse per fare fronte alle emergenze sanitarie di questa portata. Che essendo molto costose e poco redditizie ricadono per lo più sulle spalle del SSN. Ragion per cui servirebbe potenziare il pubblico. Specie perché magari a furia di dire che non servono i medici di base o a non trovare i soldi per gli specialisti di rianimazione si rischia di rimanere senza un Servizio Sanitario Nazionale.

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