Whirlpool: dopo le bugie sui salvataggi il miracolo tocca a Invitalia

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La verità oltre la propaganda: nessuno ha mai riportato produzioni dalla Polonia all'Italia, come annunciava Giggetto giulivo nel 2018. È vero poi, come annunciò a suo tempo Patuanelli, che l'azienda ha ritirato la procedura di cessione a PRS. Ma nel frattempo il ministero non ha trovato partner diversi, quindi attualmente, sfumata l'unica ipotesi di cessione sul tavolo, non ce n'è più nessuna

Chiuderà il 31 ottobre e non il 31 marzo lo stabilimento Whirlpool di Napoli che Di Maio e Patuanelli avevano annunciato di aver salvato a più riprese. Alla fine l’azienda ha “regalato” al governo sette mesi di tempo in più. Il governo non è riuscito a imporre un cambiamento di rotta alla multinazionale Usa pur avendo dichiarato, con il ministro Patuanelli, che ha presieduto l’incontro, «inaccettabile» questa decisione.



Whirlpool: dopo le bugie sui salvataggi il miracolo tocca a Invitalia

Ora tocca a Invitalia fare il miracolo del salvataggio. L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. dovrà trovare un compratore che garantisca il lavoro per i 400 operai e, soprattutto,  un’offerta di acquisto legata ad un piano industriale serio e duraturo, capace cioè di garantire la continuità produttiva del sito e la saturazione di tutti i livelli occupazionali. Un’impresa non da poco, visto che il compratore indicato da Whirlpool, gli italo-svizzeri di PRS che volevano impiantare una produzione di frigoriferi, non è stato (giustamente) ritenuto all’altezza da sindacati e governo.



Scrive oggi il Mattino che Invitalia può mettere sul piatto la garanzia di risorse pubbliche per l’eventuale ristrutturazione dello stabilimento e gli incentivi per favorire la nuova missione produttiva. Ad essi potrebbero aggiungersi i 20 milioni assicurati dalla Regione Campania sul cui utilizzo, peraltro, nessuno anche ieri si è sbilanciato: alle legittime domande dell’assessore regionale al Lavoro, Sonia Palmeri, non è arrivata infatti alcuna risposta.

Sul piano strettamente tecnico, le ipotesi operative del cosiddetto “piano B” non mancano. Contratto di programma, contratto di sviluppo, equity, è lungo l’elenco delle possibilità previste dalla legge per questo genere di “ricollocazioni”. E lo stesso vale per le ipotesi societarie: il nuovo acquirente (perché di questo probabilmente si tratterà,non di un partner industriale come pure si era detto in passato) potrà operare da solo o con il sostegno di capitale pubblico. Ma questi, in fondo, sono aspetti al momento secondari per la sorte di via Argine.



Quello primario è l’incredibile vacuità con cui Di Maio, che oggi si è dimesso da Capo Politico del M5S, ha annunciato a più riprese un salvataggio inesistente o dure sanzioni nei confronti dell’azienda poi mai concretizzatesi. Nessuno ha mai riportato produzioni dalla Polonia all’Italia, come annunciava Giggetto giulivo nel 2018. È vero poi, come annunciò a suo tempo Patuanelli, che l’azienda ha ritirato la procedura di cessione a PRS. Ma nel frattempo il ministero non ha trovato partner diversi, quindi attualmente, sfumata l’unica ipotesi di cessione sul tavolo, non ce n’è più nessuna.

La multinazionale se ne andrà, magari garantendo la proroga della cassa integrazione a rotazione per i lavoratori fino, appunto, al 30 ottobre sempre ammesso che i dipendenti accettino questo percorso. Ma il futuro rimane un’incognita.

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