Il tenero Fontana e i numeri del disastro della Lombardia “da interpretare”

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Non c’è rispetto nei confronti del povero Attilio Fontana. Il governatore della Lombardia lo dice chiaro e tondo alla Stampa, dopo che un idiota ieri ha avuto la cretinissima idea di andare a scrivere su un muro “Fontana assassino”. Dando così la possibilità al presidente della Regione di fare la vittima: «C’è un clima avvelenato che qualcuno ha voluto creare nel Paese. Un clima antilombardo. E chi ha creato questo clima, dovrebbe farsi un esame di coscienza, perché poi i risultati sono questi». Il risultato è invece che oggi si parla delle scritte sui muri cretine invece che del disastro lombardo. Anzi, sul punto Fontana sostiene che i numeri della Lombardia si debbano “interpretare”:



Il professor Walter Ricciardi dice che esiste «un caso Lombardia» e forse anche un caso Piemonte e che con i numeri del contagio di questi giorni altri paesi sarebbero tornati al lockdown. Noi invece che facciamo, riapriamo come Veneto e Friuli?
«Senta, io credo che i numeri si debbano anche interpretare. E più che guardare ai numeri oggettivi credo si debba guardare all’indice di contagio. In Lombardia siamo dieci milioni di persone, è chiaro che da noi i numeri saranno sempre più alti che altrove. Però se guardiamo il tasso d’infezione scopriamo che da noi è tra i migliori in Italia, anzi,siamo scesi dallo 0,53 allo 0,48 di oggi. Ed è questo il dato di cui tener conto».

Ciò nonostante i dati degli ultimi giorni non lasciano tranquilli. Cosa è cambiato?
«Non è cambiato proprio nulla e non è cambiata la mia cautela. Ma non si può tenere chiusa la regione più produttiva del Paese. Ho sempre detto che prima si dovevano fare le regole e se verranno rispettati i parametri che stiamo fissando, saranno sufficienti per evitare che il contagio riprenda».



Ora, dovrebbe essere invece abbastanza chiaro che la situazione di Milano e della regione è tale che non ci sono numeri su cui inventare giochi di parole. Ma siccome Fontana ci tiene, c’è un altro numero da “interpretare” come direbbe lui: 18%. È la percentuale, spiega oggi Giorgio Sestili sul Fatto, del tasso di letalità, ovvero del  rapporto tra il numero dei deceduti e il numero degli infetti. In Lombardia (nel grafico) ha raggiunto il 18% – calcolato sui casi rilevati –ad inizio aprile e da quel momento rimane costante. Lo stesso tipo di andamento lo hanno le altre regioni, seppur con percentuali diverse.

Quelle del Nord sono tutte sopra il 10%, salvo il Veneto che si ferma al 9% e guarda caso ha fatto un numero mostruoso di tamponi:quasi 500 mila, il maggior numero di tamponi per abitanti e infetti. Poi le regioni del Centro e del Sud,tutte sotto il 10% tranne Marche (15 %), Abruzzo (12 %)e Puglia (11%), con Umbria e Molise a chiudere la classifica al 5%.  Il motivo di letalità così alte ormai è chiaro da tempo: il numero reale dei casi positivi è molto maggiore di quelli conteggiati.



La sottostima dei contagiati è maggiore nelle Regioni più colpite come la Lombardia e dunque la letalità appare più alta. Presto, attraverso le indagini sierologiche, avremo una stima del numero reale degli infetti (in Spagna hanno stimato il 5% della popolazione ovvero circa 2,5 milioni di persone) e la letalità scenderà parecchio.

C’è di più. Sulla base del decreto firmato da Speranza, non può esserci un tasso di occupazione dei posti di terapia intensiva per Covid-19 superiore al 30 per cento. La Lombardia sta superando quella soglia, anche se il numero dei malati si è ridotto: è in bilico per la riapertura visto che questo è uno dei 21 criteri per la riapertura.

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