Come Renzi vuole rompere le uova nel paniere al M5S (e a Martina)

Categorie: Fact checking, Politica

L'ex segretario è silente ma attivissimo nel tentativo di bloccare la trattativa PD-M5S. La possibilità di arrivare alla conta e alla sfiducia per il reggente. Per imporre una svolta politica ci vuole una leadership che ottenga un mandato chiaro. È così che dovrebbe funzionare nei partiti democratici

La mossa del cavallo di Maurizio Martina, “reggente” del Partito Democratico in assenza di discussione e voto sulla linea da seguire, lascia il PD nel caos sia nella classe dirigente che tra i militanti. Ieri l’hashtag #renzitorna è stato un chiaro segnale a chi nel PD vuole tentare la strada dell’accordo di governo con il MoVimento 5 Stelle. Ma è Matteo Renzi, ancora silente ma molto attivo, l’uomo più in guerra con il resto dell’establishment DEM.



Come Renzi vuole rompere le uova nel paniere al M5S e a Martina

I retroscena come quello di Tommaso Ciriaco su Repubblica raccontano che ieri si è consumato un litigio all’ora di pranzo al Nazareno tra Martina, Orfini e gli altri prima dell’incontro con l’incaricato Roberto Fico:

«Il Movimento ha chiuso alla Lega – scandisce Martina – e di fronte a questa novità non posso non aprire a un accordo». È la posizione che il traghettatore ha anticipato al Colle, giurando che non sarebbe servita neanche una direzione per ratificare la svolta. Matteo Orfini inizia a urlare, letteralmente. «Tu non fai un bel niente, Maurizio! Qua siamo di fronte a linee politiche opposte. Non sei titolato ad aprire a un’alleanza, capito?».



Volano parole grosse, nessuno riesce a fermarli. Finché Lorenzo Guerini, supportato da Graziano Delrio e Andrea Marcucci, non propone una mediazione: «Facciamo così, annunciamo che di fronte a questo cambio di scenario convocheremo una direzione per il prossimo due maggio. Prendiamo tempo, perché nessuno può immaginare di stringere in 48 ore un accordo che Lega e Movimento non hanno siglato in 50 giorni. Apriamo un ragionamento sui nostri 100 punti del programma, ma senza accelerazioni».



La strategia di Martina e quella di Renzi

La strategia di Martina è andata a cozzare con quella di Renzi. Che aveva intenzione di muoversi intorno alla possibilità di un accordo, ma con tutt’altro ritmo e senza rischiare una rottura che nei fatti ieri si è consumata con l’accelerazione imposta dal reggente:

Fin dall’inizio, il leader aveva immaginato di scongelare il Pd, ma con estrema calma. Senza mettere una comunità di fronte al fatto compiuto. Per Renzi, i processi politici non si improvvisano, figurarsi una svolta radicale come le nozze con gli arcinemici. Nessuna sorpresa, dunque, quando la base si rivolta contro un’intesa lampo che spiazza anche i parlamentari dem.

Il finale di questa storia non è ancora scritto, però. Da giorni il “senatore di Scandicci” sostiene: «Devono passare da me, solo io posso fare questo accordo». Dice il vero, perché basta il 15% del gruppo della Camera per boicottare ogni possibile intesa con il Movimento. E allora, come se ne esce?

Il prossimo passaggio è la direzione nazionale. Per i renziani va convocata per il prossimo due maggio, al limite è possibile anticiparla al 30 aprile. Fino ad allora, gli uomini dell’ex premier cercheranno di costruire una mediazione che stronchi le aperture di Martina, senza però sconvocare del tutto il tavolo del dialogo.

Con mille paletti e mille distinguo, alzando al massimo il prezzo, anche se non necessariamente utilizzando il veto sulla premiership di Luigi Di Maio. Se Martina e il club dei ministri di Dario Franceschini proveranno invece a bruciare le tappe, si aprirà una conta. E a quel punto tutto diventerebbe possibile, anche la sfiducia del reggente e la chiusura totale ai pentastellati.

Inaudita altera parte

Dall’altra parte Di Maio non se la passa meglio. Ieri ha annunciato che in caso di fallimento del tentativo di accordo con il Partito Democratico il MoVimento 5 Stelle chiederà di tornare al voto, senza partecipare a governissimi o governi del presidente. Una posizione identica a quella della Lega ed è evidente che Salvini e Di Maio pensano di poter ricevere dalle urne una ulteriore legittimazione in tempi relativamente brevi. D’altro canto se attivisti e militanti DEM sono furiosi per la prospettiva di un governo con il M5S, dall’altra parte gli attivisti M5S la pensano allo stesso modo.

E lo si nota dall’imbarazzo con cui i dimaiani rispondono agli attivisti delusi o arrabbiati per quanto sta accadendo: mettono sul piatto il reddito di cittadinanza per spiegare che il gioco potrebbe valere la candela. Ma in pochi ci credono. E alcuni sollevano anche il problema della leadership visto che nel M5S c’è una piccola corrente combattiva che ritiene il nome di Roberto Fico più spendibile in questa fase rispetto a quello di Di Maio.

Il PD a rischio scissione 

La situazione paradossale di un partito che non ha eletto un segretario ma che vuole cambiare linea politica senza ragionare sui motivi della sconfitta però mette il Partito Democratico di nuovo a rischio scissione. L’equivoco di fondo è quello di pensare che il 4 marzo non abbia cambiato niente nemmeno all’interno del partito che ha ricevuto una sconfitta sonora e ha visto persino i suoi ministri considerati fiori all’occhiello bocciati nei collegi uninominali.

Le correnti dei parlamentari PD (La Stampa, 10 aprile 2018)

Fa tenerezza il tentativo di alcuni di accordarsi sperando che gli altri non se ne accorgano. Ma un voltafaccia politico come quello immaginato da alcune delle personalità più in vista del Partito Democratico rischia di inaugurare una balcanizzazione insensata dalla quale il PD avrebbe soltanto da perdere e il governo che nascerebbe si troverebbe probabilmente senza numeri sin dal primo giorno. Per imporre una svolta politica ci vuole una leadership che ottenga un mandato chiaro. È così che dovrebbe funzionare nei partiti democratici.