Belt and Road Initiative: come la Via della Seta avvicina l’Italia alla Cina

Categorie: Economia, Fact checking

Gli USA si arrabbiano per l'accordo che Pechino vuole far firmare a Roma. Che sarebbe una scatola vuota, in realtà. Ma con molti significati politici

“Io rispetto le preoccupazioni del nostro alleato, ma se stiamo guardando alla Via per la Seta non è per fare accordi politici con la Cina, è solo per aiutare le nostre aziende a portare il made in Italy, il nostro know-how in un mercato che ce lo chiede”. Lo afferma il vicepremier Luigi Di Maio soffermandosi, nel suo discorso al Villaggio Rousseau a Milano, sulla posizione degli Usa rispetto al progetto italiano di firmare gli accordi commerciali per la Via della Seta.



Belt and Road Initiative Italia

A cosa si riferiva il vicepremier? Di Maio è andato in missione in Cina un paio di volte e  si è spinto a presiedere da vicepremier un convegno della società Huawei e recentemente li ha sdoganati sul versante G5. Il sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, esperto di cyber-sicurezza, che anche lui era stato tra gli ospiti d’onore di Huawei, volendo minimizzare l’allarme giunto dagli Usa (al contrario della Lega che chiede di attivare la procedura di «golden power»), si è spinto oltre: «I rischi di affidarsi ad aziende non alleate – ha detto Tofalo – sono gli stessi che corriamo se ci mettiamo nelle mani di quelle “amiche”».



«Siamo molto preoccupati che quando il presidente cinese Xi visiterà Roma, l’Italia firmi la Belt and Road Initiative, perché legittimerebbe un progetto politico, inviando il messaggio sbagliato a Pechino», ha fatto sapere oggi a La Stampa un membro dell’amministrazione Trump. Secondo Washington  l’adesione alla Bri minerebbe la collaborazione tra le aziende americane e italiane, e «l’interoperatività della Nato», mettendo in sostanza a rischio la nostra funzionalità nell’Alleanza. Da qui la risposta di Di Maio, che dovrebbe rassicurare l’alleato USA.

Come la Via della Seta avvicina il M5S alla Cina 



Ma gli intrecci commerciali tra Cina e Italia già oggi sono imponenti: Fincantieri ha ricevuto la commissione per una nave da crociera, altre due saranno costruite in joint-venture a Shanghai. Michele Geraci, sottosegretario allo sviluppo economico, è considerato il vero regista dell’operazione e oggi alla Stampa rintuzza le accuse di Washington e Bruxelles: «Quando il testo sarà noto, si vedrà che è nell’interesse italiano e alleato. Abbiamo ricevuto alcune osservazioni dagli Stati Uniti e abbiamo risposto. Il governo è unito, al di là delle ricostruzioni giornalistiche».

Sarebbe però il primo governo del G7 a firmare un accordo che finora ha visto tra le sigle quelle di Portogallo, Grecia e Polonia oltre all’Ungheria. E che, secondo diverse fonti, sarebbe una scatola vuota, ovvero un semplice memorandum d’intesa dal quale gli accordi specifici sono assenti e ci entreranno soltanto eventualmente e successivamente. Nulla di cui preoccuparsi dal punto di vista tecnico insomma, anche se l’affermazione smentisce Di Maio e Geraci che parlano di accordi commerciali già presenti. Ma molto di preoccupante dal punto di vista politico.

Leggi anche: TAV, la mandrakata di Conte e Casalino