TAV, l’analisi costi-benefici

Categorie: Economia, Fact checking

I conti di Ponti & Co: con l'opera costi maggiori per 7 miliardi. La questione del mancato conteggio dei benefici per l'ambiente e i componenti della commissione che ha varato l'analisi costi-benefici

La realizzazione della Tav comporterà “uno spreco di soldi pubblici con pochi precedenti nella storia italiana. Nel migliore dei casi si arriva a un effetto negativo (sbilancio tra costi-benefici di 5,7 miliardi, nel peggiore si sfiorano gli 8 miliardi; in quello ‘realistico’ si arriva a 7 miliardi tondi”: questo si legge nell’analisi costi-benefici elaborata dagli esperti guidati dal professor Marco Ponti che oggi dovrebbe essere resa pubblica dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e che è stata anticipata dal Fatto Quotidiano.



TAV, l’analisi costi-benefici

Il risultato del dossier è dunque una stroncatura, anche considerando i costi necessari per fermare l’opera. Una bocciatura che nasce dal fatto che una vera domanda di traffico non sembra esserci. E mentre Salvini fa sapere di non aver ancora letto il dossier, spiega Il Fatto che nel primo scenario si assume che il traffico merci ferroviario fra Torino e Lione (oggi fermo ai livelli del 2004 e inferiore a 20 anni fa) si moltiplicherebbe di 25 volte, passando dai 2,7 milioni di tonnellate annue del 2017 ai 51,8 del 2059; i passeggeri diurni sui percorsi internazionali passerebbero invece da 0,7 a 4,6 milioni e quelli regionali raddoppierebbero dagli 4,1 a 8 milioni all’anno.



Questo miracolo avverrebbe grazie allo “spostamento modale” dalla strada (e dall’aereo per i passeggeri) alla ferrovia che sarebbe innescato dall’opera. Si basa su tre assunti considerati “inverosimili” da Ponti & C.: un tasso di crescita dei flussi del 2,5% annuo; che la nuova linea ferroviaria acquisisca un flusso pari al 18% di quanto oggi transita via Svizzera (Sempione e Gottardo), al 30% dei flussi stradali che transitano al confine di Ventimiglia –distante 200 chilometri – al 55% di quelli del traforo del Fréjus e al 40% di quelli del Monte Bianco. La conclusione riportata dal Fatto è che già così la situazione è insostenibile:

Con riferimento ai costi “a finire ”, cioè escludendo gli 1,4 miliardi già spesi in studi, scavi geognostici e progetti, il Valore attuale netto economico dell’investimento (Vane) risulta negativo per 7.805 milioni di euro; quello a costo completo arriva a -8.760 milioni. Anche con il taglio della tratta italiana Avigliana-Orbassano, che la Lega ha provato inutilmente a proporre ai 5Stelle per dare l’ok all’opera (il “mini Tav”), si passerebbe rispettivamente a -7.212 milioni e -8.167. Il motivo è semplice: senza quel raccordo si riducono i costi (1,7 miliardi), ma anche i benefici.



L’analisi costi-benefici “segreta” è sul Fatto Quotidiano

Il secondo scenario, quello che viene definito più realistico, il tasso di crescita dei flussi si riduce all’1,5% annuo, si assume che per le merci lo spostamento da strada a ferrovia non interessi i segmenti di percorso più lontani dal tunnel e che la domanda generata per il segmento di lunga percorrenza sia pari al 50% di quella esistente (invece del 218%) e quella dei passeggeri regionali al 25% (invece del 50%). Il risultato è  che il Vane sarebbe comunque negativo: -6.995 milioni considerando i costi “a finire” e -7.949 milioni qualora si faccia riferimento al costo intero. Senza la tratta nazionale si passa a -6.138 milioni e-7.093 milioni.

Analisi costi-benefici, la vignetta di Nomfup

Nell’analisi costi-benefici c’è anche una risposta alle tante obiezioni sollevate in questi giorni – l’ultimo è stato l’ex senatore PD Stefano Esposito – riguarda il mancato conteggio dei benefici derivati dalla minore presenza di Tir nelle strade e, conseguentemente, di produzione di CO2.

L’analisi di Ponti e colleghi tiene conto dei benefici ambientali (sicurezza, rumore, inquinamento, effetto serra, decongestione stradale etc.) usando gli standard Ue: ogni tonnellata in meno di Co2 immessa nell’atmosfera, per dire, genera un effetto positivo (90 euro) di minori danni ambientali ma al contempo comporta una riduzione delle entrate fiscali di circa 400 euro che hanno un impatto pesante sui conti dello Stato (meno incassi, minori esercizi statali oppure incremento di altre forme di prelievo). I benefici ambientali appaiono risibili, spiegano i tecnici. Parliamo, nello scenario ottimistico, di 7-800mila tonnellate annue di Co2 in meno (500 mila in quello realistico), quando il solo traffico di Roma ne genera 4,5 milioni. Non più dello 0,5% sul totale nazionale dei trasporti.

Analisi costi-benefici TAV: risultato negativo per 7 miliardi

Il risultato finale è che l’analisi costi-benefici sulla TAV dà un risultato negativo per 7 miliardi di euro. Se servono i soldi per ripristinare lo stato precedente all’apertura dei cantieri si scende a 5,7 miliardi. I cinque componenti  della Commissione sono stati nominati con decreto e contrattualizzati per un anno con un compenso di 50 mila euro a eccezione di Ponti che, in quanto pensionato, non può percepirlo. Gli incarichi sono stati conferiti il 15 ottobre 2018. Per tutti si tratta di una “collaborazione coordinata e continuativa” che scade il 15 ottobre del 2019.

Tra i loro nomi, a parte Ponti, ci sono Paolo Beria (professore associato di economia dei Trasporti al Politecnico di Milano), Alfredo Drufuca (ingegnere esperto in pianificazione dei trasporti, fondatore e amministratore delegato di Polinomia), Riccardo Parolin (consulente di economia dei trasporti) e Francesco Ramella (fellow dell’Istituto Bruno Leoni e professore a contratto all’Università di Torino). In due sono soci della società Trt Trasporti e Territorio srl fondata dallo stesso Ponti. Conclude Stefano Feltri sul quotidiano di Travaglio:

Se proprio si vuole sostenere l’export italiano, suggerisce la commissione, non serve scavare tunnel: poiché ogni veicolo pesante che passasse dalla strada al Tav otterrebbe un beneficio medio di 50 euro, basta ridurre di pari importo i pedaggi per attraversare Monte Bianco e Frejus. Il Tav è inutile, si può continuare a difenderlo come battaglia di principio (costi quel che costi, per dare un segnale di sviluppo), oppure come un enorme e inefficiente sussidio a un territorio che non è mai riuscito a diventare post-industriale, dopo il declino della Fiat, il tutto a spese di incolpevoli contribuenti. Ma di argomenti sensati e sorretti dai numeri non ce ne sono più. E ormai è chiaro che non ce ne sono mai stati.

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