Come rimediare voti con il sovranismo e il populismo in cinque lezioni

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Su Le Monde Idées il saggista e scrittore Frédéric Joignot ha parlato qualche giorno fa di due saggi di comunicazione politica che raccontano meglio di tutti l’ascesa del populismo: il primo libro è La langue de Trump (La lingua di Trump) della traduttrice francese Bérengère Viennot; il secondo si intitola How Trump Thinks (Come pensa Trump) e si deve al giornalista britannico Peter Oborne e allo storico dei media Tom Roberts. Paolo Di Stefano, che ne parla oggi sul Corriere della Sera, racconta il tutto in alcune brevi lezioni su come fare carriera politica grazie alla nuova retorica populista, che aiuta a rivolgersi direttamente al popolo solleticandone le «trippe»(Viennot) attraverso i social.



E di lezione ce n’è anche una quinta, l’ultima, quella che racchiude le precedenti: mostrarsi sempre sicuri di sé e prendersela sempre con i media. E se ne capisce il perché: chiunque metta in discussione un Discorso che per avere chances di fare presa deve essere Unico è pericoloso. A leggere le “lezioni” vengono in mente un sacco di messaggi confezionati con audacia e sprezzo del ridicolo che in questi ultimi anni hanno inondato i media trasformandosi poi in voti il 4 marzo. Ma viene in mente anche il destino delle balle non appena arriva la realtà a bussare alla porta, come con la crescita dello spread che ha messo in potenziale crisi il sistema economico italiano durante la guerra per la Manovra del Popolo con l’Europa: alla fine delle ostilità Salvini ha detto che vuole cambiare l’Europa dal di dentro e Di Maio, proprio ieri, che non c’è alcuna possibilità che l’Italia esca dall’euro. Il destino delle balle populiste sarà lo stesso di quelle sovraniste: prima o poi si troverà un ragioniere che saprà far di conto. E un bambino urlerà che il re è nudo.

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