Ma davvero il focolaio di Coronavirus è colpa dell’ospedale di Codogno?

Conte ha indicato nei protocolli non seguiti dall'ospedale di Codogno la causa della diffusione del Coronavirus SARS-CoV-2 in Italia. La replica della Regione Lombardia. Chi dice la verità?

«Non prendiamo nulla sotto gamba altrimenti non avremmo adottato misure di estremo rigore. Non possiamo prevedere l’andamento del virus: c’è stato un focolaio e di lì si è diffusa anche per una gestione di una struttura ospedaliera non del tutto propria secondo i protocolli prudenti che si raccomandano in questi casi, e questo ha contribuito alla diffusione. Noi proseguiamo con massima cautela e rigore»: Giuseppe Conte ieri ha puntato il dito contro l’ospedale di Codogno e sulla sua gestione del Coronavirus per spiegare l’epidemia in Lombardia.



L’accusa di Conte all’ospedale di Codogno sul Coronavirus

Conte, a Frontiere su Raiuno, ha spiegato che all’origine di uno dei focolai c’è stata la gestione «di un ospedale» non in linea con i protocolli. E ovviamente si tratta di un ospedale di una regione del Nord. Il riferimento è a come è stato gestito il paziente uno, ovvero Mattia, che si è presentato una prima volta a Codogno quando già era malato senza però dire di aver frequentato il cognato di Fiorenzuola di ritorno dalla Cina – va anche detto che nel frattempo il cognato è risultato negativo a tutti i test su COVID-19 – e lì non sono stati attivati per la prima volta tutti i protocolli di sicurezza: cinque medici e tre pazienti dell’ospedale infatti sono già risultati contagiati.

Il paziente 1 in Lombardia (La Repubblica, 22 febbraio 2020)

Per questo ieri, scatenando polemiche, Conte ha chiesto anche ai presidenti delle Regioni fuori dall’area del contagio di non agire da soli, senza indicazioni da Roma. Le sue parole hanno scatenato lo scontro con Matteo Salvini (che ieri è stato accusato dal premier di non aver risposto su Whatsapp e alle sue telefonate). «Conte usa parole quasi fasciste, evoca i pieni poteri, si dimetta», dice Riccardo Molinari a nome della Lega lamentandosi per la stessa cosa che aveva fatto Salvini all’epoca della crisi del Papeete. Anche Fontana non ci sta: «Sono state proprio le Regioni a indirizzare verso certe decisioni, a essere state proattivee ad adeguarsi alle difficoltà del momento dando una risposta di efficienza superiore», rimarca. E rinfaccia al premier: «Bisognerebbe dire anche che non sono state tanto ascoltate quando abbiamo detto qualche tempo fa, circa un mese fa, che forse bisognava assumere un po’ più di attenzione al fatto che il virus potesse arrivare anche nel nostro Paese».



Ma davvero il focolaio di coronavirus è colpa dell’ospedale di Codogno?

C’è da dire che l’accusa di Conte ha scatenato risposte veementi. L’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera: «Sono accuse ingiuste, difendo i medici dell’ospedale di Codogno, hanno fatto il loro dovere e seguito i protocolli inviati dal Ministero della Salute e dall’Oms, che dicevano di fare i test solo a chi tornava dalla Cina, addirittura all’inizio si diceva solo da Wuhan. Piuttosto Conte ci deve spiegare perché la Protezione civile si è fatta trovare sguarnita di strumenti in questa emergenza, non ha mascherine, non ha i tamponi, non ha nulla. E chiedono a noi di reperirle in pochi giorni. Conte lasci stare i medici di Codogno». «In pronto soccorso siamo stati perfino fortunati», dicono gli esperti di indagine epidemiologica: senza la falsa pista dell’altrettanto falso paziente zero tornato dalla Cina, forse la scoperta del contagio sarebbe avvenuta ancora più tardi, con il numero degli infettati moltiplicato per due o per tre.

Il Coronavirus in Italia regione per regione (Corriere della Sera, 25 febbraio 2020)

Intanto ieri è emersa la positività di un dipendente dell’anagrafe del Comune di Lodi, che, secondo quanto racconta Il Cittadino, era andato al pronto soccorso per un problema cardiaco proprio quando c’era il paziente uno. I dipendenti dell’ospedale resistono, tra chi parla con i giornalisti c’è chi racconta: «Non ci hanno ancora spedito dotazioni adeguate». I tamponi per i test cominciano a scarseggiare,quelli che si fanno a domicilio nelle case di Codogno vengono garantiti solo a coloro che hanno i sintomi della malattia.



Il virus all’ospedale di Codogno

Massimo Galli, professore ordinario di Malattie infettive all’Università di Milano e primario al Sacco, ha spiegato ieri in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera perché ci sono tanti casi di coronavirus in Italia: «Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015. Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione».

Coronavirus: infezioni, sintomi e test del tampone (La Repubblica, 24 febbraio 2020)

Galli oggi sul Corriere ha parzialmente rettificato la sua posizione: «L’attribuzione di una responsabilità diretta e di un comportamento scorretto ai colleghi e all’ospedale di Codogno —chiarisce l’infettivologo — va comunque assolutamente al di là delle mie intenzioni e delle mie convinzioni». E ancora: «È verosimile che l’epidemia non sia, nella sua origine, recentissima nell’area del Lodigiano ed è certo che la persona che si è rivolta all’ospedale di Codogno per assistenza non è colui che ha importato il virus in Italia (il cosiddetto paziente «zero», ndr). È quindi probabile che il virus sia circolato per diversi giorni prima che il caso grave numero uno si rivolgesse ai sanitari di Codogno. È altrettanto evidente che i colleghi di tale ospedale non avevano  alcun elemento che li aiutasse a sospettare le cause delle manifestazioni cliniche del paziente, che non poteva essere considerato sospetto per coronavirus in base alle definizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità».

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