Stefano Esposito e la strana storia dell'immunità parlamentare

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-13

Il Senatore PD, querelato dal consigliere regionale Barillari, dice di non aver mai chiesto l’immunità parlamentare. Ma nella memoria difensiva presentata alla Procura di Roma fa riferimento alla “insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni”. Come stanno le cose?

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Stefano Esposito, senatore PD e ed ex-assessore ai trasporti della Capitale durante l’ultima giunta guidata da Ignazio Marino, è stato di recente querelato per diffamazione dal consigliere regionale M5S Davide Barillari. In un post pubblicato su Facebook da Roberta Lombardi (e condiviso sul Blog di Beppe) il Movimento 5 Stelle accusa Esposito di “non essere uomo” perché, per difendersi dall’accusa di diffamazione, si è “nascosto sotto la gonnella dell’immunità parlamentare”. La Lombardi si lascia un po’ trasportare dalla retorica quando dice che “accostare il nome del Movimento 5 stelle alla mafia è reato”. Ma davvero Esposito vuole utilizzare l’immunità?

La guerra tra M5S e PD a Ostia

All’epoca delle vicende di Mafia Capitale Esposito aveva accusato Barillari di essere un “colluso inconsapevole” con i clan di Ostia. Esposito è – tra le altre cose – anche il Commissario PD per il X Municipio, quello di Ostia, sciolto per in infiltrazioni mafiose in seguito alle inchieste di Mafia Capitale. Quel municipio, prima dello scioglimento e dell’arrivo dei tre commissari prefettizi era retto dal Partito Democratico, che ha senza dubbio le sue responsabilità (politiche e non solo) per la situazione che si è venuta a creare ed infatti l’ex-presidente del Municipio Andrea Tassone venne arrestato. Da tempo però ad Ostia oltre alla battaglia della magistratura contro il Clan Spada (ieri ci sono stati dieci arresti) va in scena anche quella tra PD e Movimento 5 Stelle che negli ultimi mesi si sono scambiati una serie di pesanti accuse. La “guerra” è iniziata con il dossier contro l’associazione Libera pubblicato dal M5S, al quale risposero sia Don Ciotti che l’allora assessore alla legalità Alfonso Sabella. A rincarare la dose ci pensò poi l’altro commissario PD romano, Matteo Orfini che parlò degli incontri “a porte chiuse” tra alcuni imprenditori a suo dire in odore di illegalità e alcuni esponenti del M5S. La guerra è continuata poi con una uscita di Davide Barillari che un mese e mezzo fa annunciò la pubblicazione della relazione “della commissione antimafia” su Ostia, ma le cose non stavano esattamente così. Ma la frase contestata dal M5S a Esposito risale invece all’aprile del 2015, all’epoca il Senatore paragonò Barillari  a Scajola, definendolo colluso a sua insaputa.

Bisogna che ci rimettiamo tutti in gioco: non si riparte dagli accordi e dagli accordini tra le componenti. Noi siamo quelli che vogliono liberare le spiagge dalle infiltrazioni mafiose. Dobbiamo partire da quel che possiamo fare noi, da quel che può fare la politica. Loro ricorreranno al Tar? Noi saremo quelli in piazza contro di loro. Sfidiamo chi ci tira merda addosso, andiamo dove ci sono i problemi. Ho letto quello che dice Davide Barillari, consigliere laziale del M5s. È come Scajola, un colluso inconsapevole

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Davvero Esposito non ha chiesto l’immunità?

In merito alle accuse dei Cinque Stelle Esposito ha replicato su Twitter di non aver mai chiesto di poter usufruire dell’immunità parlamentare in merito alla questione della presunta diffamazione ai danni di Barillari. Non lo aveva fatto nemmeno quando venne chiamato a rispondere di diffamazione nei confronti di quattro attivisti NO TAV (per la cronaca Esposito è stato condannato in primo grado) e non ha, a suo dire, motivo di farlo ora. Dalle carte in possesso di Nextquotidiano risulta però che le cose stiano in parte come dicono la Lombardi e il Movimento 5 Stelle. In questa memoria difensiva Esposito, per tramite del suo legale, si appella all’articolo 68 della Costituzione, che è quello che garantisce l’immunità dei parlamentari.
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C’è da dire che però Esposito fa riferimento alla parte che sancisce l’insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari ovvero quella parte che garantisce ai parlamentari una certa immunità in merito alle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. La questione è piuttosto complessa ma non si traduce nella possibilità per un membro del Parlamento di rendere dichiarazioni diffamatorie senza poi doverne rispondere nelle sedi opportune. Come è spiegato qui infatti è necessario che le dichiarazioni ritenute diffamatorie siano rese nell’esercizio delle funzioni del parlamentare (esercizio che non viene limitato all’ambito fisico del Parlamento).  Non tutte le opinioni espresse dai parlamentare quindi, possono essere ritenute insindacabili; ad esempio la sentenza n. 348 spiega che

il luogo dove le dichiarazioni sono state rese (all’interno della sede del Senato) [non] può, di per sé solo, conferire carattere di funzione parlamentare ad un’intervista privata concessa da un parlamentare ad un giornalista (sentenza n. 509 del 2002), giacché anche tale circostanza può attenere semmai ad un “contesto politico”, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non può, di per se stesso, fare presumere l’esistenza di un nesso funzionale idoneo a rendere insindacabili le opinioni ivi espresse.

In questo senso quindi per quanto Esposito possa aver provato ad appellarsi all’insindacabilità delle sue opinioni in quanto Senatore non è detto che queste possano essere ritenute tali e che quindi l’esponente Dem possa aver diritto all’immunità. Naturalmente a decidere se il “colluso inconsapevole” sia stato pronunciato da Esposito nell’esercizio delle sue funzioni lo dovrà decidere il Senato. Certo, il fatto che quella frase sia stata pronunciata all’interno del Circolo PD di Ostia da Esposito mentre esercitava la funzione di commissario del partito per il X Municipio potrebbe far pensare che non si possa parlare di un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni. Ma al tempo stesso il giudice potrebbe ritenere che l’uscita di Esposito contro Barillari possa far parte della normale dialettica politica. Del resto però per una frase simile Renzi ha annunciato di voler querelare Beppe Grillo. La cosa davvero divertente di tutta questa faccenda è che alla luce dell’insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare le querele per diffamazione annunciate dal Partito Democratico nei confronti del Vice presidente della Camera Luigi Di Maio  e di Carlo Sibilia sembrano davvero non avere molto senso. Certo, il PD Ermini chiede a Di Maio di rinunciare all’immunità ma come abbiamo visto quella posta dall’articolo 68 è una garanzia di libertà di parola di deputati e senatori. Se i parlamentari godono tutti dell’insindacabilità perché querelarli? Sembra quasi che il PD voglia solo fare un dispettuccio al Movimento per sondare quanto siano coerenti con la loro rinuncia all’immunità (ma parliamo di tutt’altra cosa) e non sia invece interessato al contenuto delle dichiarazioni. Forse che anche le querele per diffamazione stanno per entrare a far parte della normale dialettica politica?

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