Quello che la RAI non dice sul referendum del 17 aprile

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-06

La storia dei referendum è costellata da campagne di disinformazione, da una parte e dall’altra. Quello “sulle trivelle” non fa naturalmente eccezione, certo che se ci si mette pure la RAI la situazione si complica…

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Referendum sulle trivellazioni in mare, 17 aprile 2016, cosa succede davvero se vince il Sì? Se vince il No (o non si raggiunge il quorum) la risposta è molto semplice: la norma rimane così com’è. Quello che potrebbe succedere qualora venisse raggiunto il quorum e vincesse il Sì è molto meno chiaro. Non perché non si sappia ma perché è stata fatta molta confusione sull’argomento da una parte e dall’altra. I cosiddetti No Triv sostengono ad esempio che il referendum è “contro le trivellazioni”, che si tratta di decidere se bloccare o meno le trivellazioni e che nei nostri mari si estrae principalmente petrolio. Questo, come ho già avuto modo di dire, non solo è sbagliato ma è completamente fuorviante, anche perché le piattaforme estraggono prevalentemente gas. Dall’altra parte invece, sul fronte del No ci sono coloro che sostengono che una vittoria del referendum significherà la perdita di migliaia di posti di lavoro e – per alcuni – l’addio al sogno dell’autonomia energetica.

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fonte: http://www.rai.it/dl/rai/text/ContentItem-0361543d-cc85-4ade-b3e0-5a9ddf28d20a.html?refresh_ce

Cosa significa davvero votare Sì al referendum del 17 aprile?

È bene ripeterlo: il quesito referendario non propone di vietare le trivellazioni in mare al largo delle nostre coste ma riguarda solo la modalità di rinnovo delle concessioni entro il limite delle 12 miglia. Nuove concessioni potranno in ogni caso essere assegnate al di fuori del limite delle acque territoriali, ma non solo: tutte quelle piattaforme che, pur trovandosi all’interno del limite delle 12 miglia dalla costa, hanno fatto richiesta di rinnovo entro dicembre 2015. Cosa c’è in ballo quindi? Sostanzialmente, ed è sufficiente leggere il testo del quesito referendario, si tratta di abrogare quel passaggio della legge che attualmente consente la proroga sine die per le attività di estrazione di idrocarburi già esistenti entro il limite delle dodici miglia dalla costa. Si tratta di quanto stabilito dalla legge 208 del 28 dicembre 2015 (ovvero dalla Legge di Stabilità 2016) che è andata a sostituire un articolo del Testo Unico per l’Ambiente, di fatto quindi il referendum chiede di intervenire per modificare un comma di una legge del 2006 che recepiva quanto disposto dalla legge numero 9 del 9 gennaio 1991 (in particolare gli articoli 4, 6, e 9), come precisato appunto dal testo del referendum che è il seguente:

«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale“?»

Il comma 17 dell’articolo di legge oggetto di modifica è quello riportato qui sotto (in neretto la parte che verrebbe abrogata). Questo è il testo come è stato sostituito dall’Art.35 comma 1, legge n 134 del 2012 (quella che secondo De Vicentis avrebbe abrogato la legge numero 9 del 1991) poi modificato dall’articolo 1, comma 239 della legge n.208 del 2015 (ovvero la legge di stabilità 2015) e dall’articolo 2 comma 1 della legge n. 221 del 2015 (che ha introdotto la parte evidenziata in corsivo.

17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere annualmente l’aliquota di prodotto di cui all’articolo 19, comma 1 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l’olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell’incremento dell’aliquota ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato, per essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti nello stato di previsione , rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per assicurare il pieno svolgimento delle azioni di monitoraggio, ivi compresi gli adempimenti connessi alle valutazioni ambientali in ambito costiero e marino, anche mediante l’impiego dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle strutture tecniche dei corpi dello Stato preposti alla vigilanza ambientale, e di contrasto dell’inquinamento marino.

Ma andiamo a vedere allora cosa prevede questa legge 9/91, segnatamente al comma 8 dell’articolo 9 (già citato proprio in quell’articolo di legge all’interno del quale c’è la parte oggetto del referendum).

Al fine di completare lo sfruttamento del giacimento, decorsi i sette anni dal rilascio della proroga decennale, al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista dall’articolo 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o più proroghe, di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione o dalle proroghe.

Non sembra quindi entrare in gioco la questione della reviviscenza di una norma, già tirata in ballo dal sottosegretario De Vincenti e da altri che non sono andati evidentemente a leggersi i testi delle varie leggi che dal 2006 ad oggi sono intervenute sul comma 17 dell’articolo 6 del T.U. per l’Ambiente poiché questa norma è ancora in vigore. Coloro che sostengono che Michele Emiliano abbia torto a dire che in caso di vittoria del Sì tornerebbe in vigore quanto stabilito dalla legge del 1991 poiché la nel 2012 la Corte Costituzionale avrebbe escluso la possibilità che – in caso di abrogazione di una norma – torni in vigore quella precedente (con tutti i problemi del caso). Nel caso del referendum del 17 aprile però va fatto notare che: in primo luogo non viene abrogata nessuna norma ma solo la parte riguardante la durata delle concessioni. In secondo luogo nel testo della legge in oggetto il comma 8 dell’articolo 9 della legge 9/91 non è stato abrogato, poiché la legge del 2006 agiva in deroga alla legge del 1991. Non sarebbe quindi corretto quanto viene detto nello spot istituzionale trasmesso dalla Rai dove per spiegare il significato della scelta di votare Sì viene detto – erroneamente – che chi vota Sì “esprime la volontà che lo sfruttamento dei giacimenti in attività sia comunque interrotto alla scadenza della concessione

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Lo spot istituzionale prende una posizione “di parte” sul significato del Sì?

L’errore della Rai – che probabilmente ha ricevuto il testo del video dal Ministero dell’Interno che in genere si occupa di questo genere di comunicazioni istituzionali – è reiterato anche nel testo sottostante al video, dove viene spiegato che le parti oggetto dell’abrogazione sono quelle “evidenziate in grassetto” e dove il grassetto colpisce un po’ ovunque.
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La RAI ha deciso di farsi un referendum per conto suo

Cosa significherebbe una vittoria del Sì?

Tutta questa discussione sulle leggi potrà sembrare di poco conto ma è proprio su questo aspetto che il 4 aprile alla Direzione Nazionale del PD è andato in scena il nuovo scontro tra il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. La tesi espressa dai vicesegretari PD in una nota pubblicata qualche tempo fa è che la vittoria del Sì comporterebbe la chiusura degli impianti e il licenziamento di migliaia di persone. Secondo Emiliano invece questa non sarà una conseguenza automatica della cancellazione della norma riguardo le concessioni senza limiti perché si tornerebbe alla legge che ha regolato l’estrazione di idrocarburi in mare per quasi vent’anni. Una eventuale, ma alquanto improbabile, vittoria del Sì avrebbe il risultato immediato di far tornare maggiori controlli al momento del rinnovo delle concessioni. Ma cosa significano maggiori controlli? Senza dubbio maggiore sicurezza per i cittadini e per l’ambiente, ma anche qualcos’altro che è molto più importante dal punto di vista politico. La possibilità di intervenire sulle concessioni ogni cinque anni (e non una volta per tutte) significa che gli enti locali potrebbero avere un maggior potere di contrattazione con le compagnie petrolifere al momento del rinnovo delle concessioni (non dimentichiamo che il petrolio e il gas estratti non sono di proprietà dello Stato). Questo da una parte può significare che una vittoria del Sì potrebbe spingere – sull’onda del consenso popolare – alcuni presidenti di Regione a non rinnovare le concessioni. Ma significa anche che le Regioni avrebbero la possibilità di chiedere maggiori contropartite alle società petrolifere operanti sulle piattaforme site nel loro territorio. Questo però, è bene ricordarlo, non è il caso di Emiliano e della Regione Puglia perché – tu guarda – in Puglia non ci sono trivelle in mare (entro le 12 miglia). C’è chi dice che la questione posta dal referendum non è di tipo ambientale (o ambientalista) ma che è prettamente politica con questo volendo dire che alla fine è tutto un magna magna dei soliti politici assetati di potere. Ed è vero, perché come ho detto il referendum non è contro il petrolio, contro il gas o contro le trivellazioni, anche se così viene presentato dal Comitato Promotore. Ebbene, giusto qualche giorno fa il Presidente del Consiglio Matteo Renzi rivendicava con forza e con orgoglio il primato della politica, ovvero l’impegno dell’attuale Governo che finalmente si è messo a decidere e a sbloccare l’Italia. Alla forza motrice e propositrice della politica Renzi ha contrapposto l’inconcludenza della magistratura che blocca il paese. Non si capisce però perché, quando sono altre forze politiche di governo (le Regioni) a voler annunciare la volontà di agire e di fare, la questione referendaria diventi “politica” nel senso più deteriore del termine. Se la politica industriale spetta al Governo e non alle lobby, non si capisce come mai su quella stessa politica industriale non ci possano mettere parola quegli enti al governo in quei territori  dove vanno ad insistere gli investimenti industriali. È davvero un male il fatto che un ente locale possa avere un maggior peso al momento di contrattare con una multinazionale lo sfruttamento delle risorse del suo territorio? Il corollario di una tesi di questo genere – forse non se ne sono resi conto quelli che parlano in modo dispregiativo di “referendum politico” è che per decidere su un aspetto come questo nel merito di una questione posta in questo modo non è necessario, come dicono alcuni, essere geologi (oppure farci spiegare il problema da una che “lavora all’ENI”) o conoscere nel dettaglio il funzionamento di una piattaforma petrolifera. Per decidere sul referendum occorre aver riflettuto sul ruolo della politica nello sviluppo industriale del paese. Il segretario del PD dice che è la politica a doverlo guidare. Incredibilmente è quello che dicono anche le Regioni promotrici del referendum.

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