Bersani & D'Alema, la ditta è fallita

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-04-02

La vecchia guardia del PD sembra sempre più allo sbando. E le minacce ai giornalisti non aiutano. Così come le battute sibilline sui numeri. E’ finita un’epoca. E non per merito di Renzi. Per colpa loro.

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L’unica che può esserne felice è Linda Giuva, che all’inviato di Repubblica a Le Madeleine fa sapere che per il vino «abbiamo avuto in queste ore un’impennata di ordini inimmaginabile. Ex malo bonus!». Per il resto la vecchia guardia del Partito Democratico non ha molti motivi per gioire dall’attuale situazione. Da una parte Massimo D’Alema che finisce nel tritacarne mediatico per una serie di telefonate, dall’altra Pierluigi Bersani che nell’ansia di combattere l’Italicum e Matteo Renzi finisce smentito pure dai suoi.
 
BERSANI & D’ALEMA, LA DITTA È FALLITA
Nel mirino D’Alema finisce perché nell’ordinanza di custodia cautelare il gip Amelia Primavera sottolinea, tra l’altro, che “per comprendere fino in fondo e per delineare in maniera completa il sistema affaristico organizzato e gestito dalla CPL Concordia, appare rilevante soffermarsi sui rapporti intrattenuti tra i vertici della cooperativa e l’esponente politico che è stato per anni il leader dello schieramento politico di riferimento per la stessa CPL Concordia, che è tra le più antiche cosiddette ‘cooperative rosse’, ovvero l’On. Massimo D’Alema“. L’intercettazione ambientale in cui Francesco Simone parla di D’Alema con Nicola Verrini, responsabile commerciale di area della CPL Concordia, risale all’11 marzo 2014. Per il gip questa conversazione “appare di estremo rilievo”, “oltre che per il riferimento a D’Alema” e “ad alcuni appartenenti alle forze di polizia”, anche “per il modo in cui gli interlocutori distinguono i politici e le Istituzioni loro referenti, operando la netta ma significativa distinzione tra quelli che al momento debito si sporcano le mani, ‘mettono le mani nella merda’ e quelli che non le mettono, distinzione che appunto dice tutto a proposito del modus operandi della CPL e dei suoi uomini”. Secondo il giudice, il termine “investire” utilizzato da Simone (“…investire negli Italiani europei…”) “rende più che mai l’idea dell’approccio di Simone e della Concordia rispetto a tale mondo”. In un passaggio successivo e relativo ad un’altra vicenda Simone afferma, “in riferimento sempre alla quota associativa da pagare ad un’altra fondazione (della quale , per ragioni investigative, si omette la denominazione): ‘…dobbiamo pagarlo perché ci porta questo e chiudiamo questo, no venti ma anche duecento..’”. La Cpl Concordia acquistò “alcune centinaia di copie dell’ultimo libro” di Massimo D’Alema “nonché alcune migliaia di bottiglie del vino prodotto da una azienda agricola riconducibile allo stesso D’Alema“, sottolinea il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, definendo questa vicenda “significativa”. La CPL, emerge dagli atti dell’inchiesta, ha anche sponsorizzato la presentazione del volume “Non solo euro” dell’ex leader del Pd a Ischia, l’11 maggio 2014, con l’interessamento del sindaco Giosi Ferrandino, oggi arrestato. Francesco Simone, parlando al telefono con il sindaco, candidato Pd alle elezioni europee (risulterà primo dei non eletti con oltre 80 mila preferenze – ndr) sottolinea l’importanza dell’evento: “…sotto la campagna elettorale faremo una cosa…” e poi “..questo pure è un segnale forte che ti appoggia tutto il partito…. Ferrandino – scrive il gip – si mostra molto entusiasta”. Il giorno precedente, sempre a Ischia, “la moglie di D’Alema ha presentato la sua produzione di vini”. Di questo vino, la CPL ne ha acquistate 2.000 bottiglie. Lo dice lo stesso Simone. “Confermo – dice agli inquirenti – che la CPL ha acquistato 2.000 bottiglie di vino prodotte dall’azienda della moglie di D’Alema, tuttavia posso rappresentarvi che fu Massimo D’Alema in persona, in occasione di un incontro casuale tra me, lui, il suo autista e il presidente (della CPL – ndr) Casari, a proporre l’acquisto dei suoi vini”. Il gip – facendo riferimento ad una intercettazione in cui Simone, parlando con tale Virginia della Fondazione Italianieuropei, diceva che l’acquisto dei libri da parte della cooperativa “è un’eccezione” – annota: “visto il prezzo pagato dalla CPL Concordia per ciascuna delle 2.000 bottiglie di vino acquistate (non si trattata sicuramente di un prodotto da somministrare in una mensa aziendale), si tratta evidentemente di un’altra delle ‘eccezioni’ cui faceva riferimento lo stesso Simone nel parlare dell’acquisto di libri”. Il 20 novembre 2014, in una perquisizione presso la CPL Concordia, gli inquirenti hanno sequestrato tre dispositivi di bonifici effettuati dalla cooperativa in favore della Fondazione Italinieuropei, ciascuno per l’importo di 20 mila euro; nonché un ulteriore bonifico per l’importo di 4.800 euro per l’acquisto di 500 libri di “Non solo euro” di D’Alema. Ha ragione, il Lìder Maximo, a lamentarsi per la pubblicazione di questi atti? Sembrerebbe proprio di no, perché i giudici nell’ordinanza non contestano alcun reato a D’Alema, ma cercano di spiegare il modo in cui si muove la CPL Concordia per accreditarsi con il mondo politico che le interessa e al quale è indissolubilmente legata. Così come ha torto D’Alema a prendersela con il Corriere della Sera per l’articolo che gli ha dedicato ieri il quotidiano: nell’articolo sono esposte correttamente tutti i vari bonifici e si spiega per quale motivo vengono effettuati, così come viene dato spazio alla sua replica e si chiama in causa D’Alema in quanto presidente della Fondazione Italianieuropei e gestore – come è scritto sul sito – dell’azienda La Madeleine intestata alle figlie. Dalla storia, pur senza alcun addebito penale, esce male proprio D’Alema: sicuramente ha ragione nel lamentarsi della pubblicazione di atti in assenza di qualsivoglia reato anche solo ipotizzato nei suoi confronti, ma la sua reazione muscolare sembra proprio di un’altra epoca e fa pensare che l’arroganza, quando entrano in campo temi di questo genere, sia ormai passata di moda.
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BERSANI E I POLLI CHE AVEVANO I DENTI
Più complicata ancora la situazione di Bersani, che in quanto più alto rappresentante della Minoranza PD ne sconta in prima persona tutta l’insostenibile inutilità. Gli oppositori di Renzi hanno dimostrato davanti all’opinione pubblica di non avere alcuna intenzione di rompere su tematiche che sarebbero state molto più a cuore all’elettorato, ma di non avere intenzione di cedere proprio sull’Italicum. E il motivo è quello che spiegò qualche tempo fa Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera,

Ma gli stessi che vorrebbero toccarlo desidererebbero aprire anche un altro tipo di trattativa con Renzi, come spiega Davide Zoggia alla buvette della Camera dei deputati: «È chiaro — spiega il deputato bersaniano — che poi all’interno del partito dovremo trattare su quanti capilista spettano alle minoranze». Insomma, gli oppositori interni del segretario, vorrebbero le preferenze, contestano i capilista bloccati, fanno le pulci all’Italicum, però parlano già delle quote di seggi sicuri che dovrebbero spettare loro. Eppure sanno che difficilmente il presidente del Consiglio potrebbe perdonare uno strappo sulla riforma elettorale e poi fare finta di niente e rimettere in lista nei posti inamovibili coloro che gli hanno votato contro. L’aria non è proprio quella. Anzi.

Nel colloquio con Repubblica di un paio di giorni fa, come se non bastasse, Bersani ha addirittura tirato fuori minacce vecchio stile sui numeri: «Non sono così convinto che Renzi abbia i numeri per approvare l’Italicum. A partire dalla commissione Affari costituzionali. Ne dovrà sostituire tanti di noi per arrivare al traguardo. E se continuerà a fare delle forzature, io stesso chiederò di essere sostituito», ha detto in vista del confronto che l’8 aprile prossimo prenderà il via in commissione a Montecitorio sulla legge elettorale, tornando però indietro sulla scissione: “vediamo se si fa carico del problema. Noi abbiamo detto: concordiamo alcune modifiche e poi votiamo l’Italicum tutti insieme sia alla Camera sia al Senato. E lui che dice? Non mi fido. Ho trovato questa risposta offensiva, molto più di tante battutine personali che riserva a chi dissente. Non mi fido di Berlusconi, lo puoi dire. Ma se non ti fidi del tuo partito, è la fine». Un’uscita che non è piaciuta a molti anche all’interno della minoranza:

Dario Ginefra, per esempio, spiega: “In questi giorni – spiega – si susseguono dichiarazioni e interviste di autorevoli esponenti che non credo rappresentino in modo fedele il pensiero di un luogo (Area riformista, ndr) nato per irrobustire il ruolo del Pd. Se la missione dovesse invece diventare quella di ‘guastatrice’ del governo Renzi è giusto che si sappia perchè ciascuno possa sentirsi libero di fare le proprie scelte”. Toni simili sono quelli di Cesare Damiano, che significativamente parla di “minoranze” che, a suo giudizio, “devono prima fare un percorso di discussione approfondita e preventiva” perché “non si può dare un’indicazione con un’intervista”, dal momento che “le opinioni sono molto diversificate e hanno bisogno di essere verificate con grande attenzione. Si può convergere o divergere, personalmente mi confronterò con i miei colleghi di area riformista, sapendo che dobbiamo fare i conti con alcuni interrogativi: Renzi sulla legge porrà la fiducia o no? Presenteremo un emendamento? Sono favorevole a farlo, dopodichè sul voto finale decideremo, fermo restando che la fiducia al governo non si può negare”. Un altro esponente di Area riformista la mette giù in modo più esplicito: “Non capisco qual è il punto di atterraggio di Bersani, il timore è che non lo abbia chiaro nemmeno lui… Del resto, alla manifestazione dello scorso 21 marzo si è visto che ci sono tante linee diverse. Io dico che alla fine Bersani rischia di girarsi e non trovare nessuno a seguirlo, o solo i suoi fedelissimi…”.
Un esito che non piace nemmeno ai bersaniani e non a caso Davide Zoggia parla di un possibile documento in favore di un’ulteriore mediazione, tratto dall’intervento di Speranza in direzione Pd: “Noi non vogliamo né uscire né essere mandati via dal partito, vogliamo contribuire a rafforzare questo partito. E credo che l’interlocuzione verso quello che proponiamo meriti rispetto. Renderemo pubblico un appello di Speranza con l’adesione di molti parlamentari: siamo nella stessa barca, Renzi non ci consideri sabotatori”. Il problema, però, arriverà al momento del passaggio in commissione, dove la sinistra Pd è maggioranza, e poi del voto finale sul provvedimento. Lì si porrà un bivio, di fronte all’irremovibilità di Renzi: andare allo scontro, cercando di far mancare i numeri o adeguarsi alla linea della maggioranza? Sarà quello il passaggio più complicato per lo stesso Speranza, “lì si vedrà se sarà capace di emanciparsi”, dice un parlamentare ‘dialogante’ di Area riformista. Alfredo D’Attorre e i duri sono convinti che la minaccia di andare a elezioni anticipate sia un bluff, ma non tutti la pensano allo stesso modo nella minoranza, anzi “nelle minoranze” Pd. (ASKANEWS, 1 aprile 2015)

E allora alla fine ecco che le difese d’ufficio di Fassina (che aveva chiesto proprio ai due di farsi da parte qualche giorno prima) sembrano proprio di circostanza. Bersani non sembra avere più i denti. A D’Alema sembra che siano rimasti solo quelli. In tutti e due casi sembra che non si siano accorti che è finita un’epoca. E non per merito di Renzi. Per colpa loro.

Leggi sull’argomento: Il Romanzo Criminale delle coop rosse

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