Walter Ricciardi e i dati del contagio nelle regioni che non sono attendibili

Il consulente del ministro Speranza: «La Lombardia? Hanno 20mila positivi a domicilio, senza contare gli asintomatici che non sanno di essere contagiati. Questi dati invitano alla massima prudenza. Poi il decisore è politico. La Corea ha chiuso con 70 casi e la Cina 40».

Walter Ricciardi, consulente del ministero alla Salute, in un’intervista rilasciata oggi a Repubblica dice che il 3 giugno è troppo presto per riaprire i confini. E soprattutto sostiene, come la Fondazione Gimbe, che i dati di alcune regioni non sono attendibili ai fini della misurazione dell’epidemia di Coronavirus SARS-COV-2 e di COVID-19.



«Il sistema di indicatori è stato elaborato a livello centrale, giustamente, ma è alimentato da attività di diagnostica e dalle segnalazioni delle regioni, quindi dipende dalle capacità di gestione dei sistemi regionali. Se sono efficaci ed efficienti, allora i dati sono attendibili. Se non lo sono, per una serie varia di ragioni, quei numeri non sono attendibili. E ci sono motivi seri per pensare che in alcune regioni questi dati adesso non lo siano».

Un quadro preoccupante.
«Dalla modifica costituzionale del 2001 raramente è successo che il sistema di indicatori abbia funzionato in modo efficiente e tempestivo. In questo caso poi il flusso dei dati non è solo amministrativo ma riguarda anche l’attività di laboratorio, le diagnosi. Quindi è ancora più complesso» .



Viste queste premesse, cosa deve decidere secondo lei la politica per il 3 giugno?
«La politica può prendere decisioni se è certa dei dati. La scelta è giusta se si basa su indicatori giusti, ma in questo caso, appunto potrebbero non essere solidi. Se i numeri non sono certi si finisce per fare scelte che possono non essere corrette».



Quindi non bisognerebbe riaprire anche se il rischio in base al monitoraggio è basso?
«È troppo presto per prendere una decisione, un’apertura in queste condizioni esporrebbe a rischi. Bisognerebbe riaprire quando si è certi che i dati siano validi».

Avrebbe senso tenere chiusa una sola regione, la Lombardia?
«Hanno 20mila positivi a domicilio, senza contare gli asintomatici che non sanno di essere contagiati. Questi dati invitano alla massima prudenza. Poi il decisore è politico. La Corea ha chiuso con 70 casi e la Cina 40».

Cosa pensa del passaporto immunitario chiesto da alcune regioni?
«Dal punto di vista tecnico e scientifico non ci sono presupposti per realizzarlo. Tamponi ed esami sierologici non garantiscono, ad esempio, che chi sta incubando la malattia sia sempre rilevato».

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