Quanto vale il partito di Renzi

I sondaggisti attribuiscono alla possibile nuova formazione un risultato tra il 5 e il 10%. Ma non tutti sono così ottimisti. E c'è chi fa notare che un bottino di voti del genere rischia l'irrilevanza con l'attuale legge elettorale

Mentre lo psicodramma del Partito Democratico aggiunge un nuovo tassello con il ritiro di Marco Minniti dalla corsa per le primarie i sondaggisti misurano il valore dell’ipotetico partito o movimento di Matteo Renzi. Repubblica racconta i conti degli uomini dei numeri:



La prospettiva più rosea la fornisce Emg Acqua, che a novembre ha diffuso un sondaggio su 1.603 intervistati che dava un ipotetico partito di Renzi al 12%: bottino proveniente per metà dal Pd. Stesso risultato di Ipr marketing, che ha invece stimato Renzi al 9%, anche qui con oltre la metà dei consensi in arrivo dalle file dem. «Renzi toglierebbe il 5% al Pd, che scenderebbe dal 18% al 13%.

Il resto — spiega il direttore Ipr Antonio Noto — arriva da elettorato moderato». Dificile dire quale, però. «L’elettorato di Forza Italia residuo è fedelissimo di Berlusconi e non è così facile da spostare». Più probabile, piuttosto, che l’ex premier agganci una parte del mondo imprenditoriale, visto che «tra le imprese solo il 25% dà oggi un giudizio positivo sul governo». A conti fatti, tuttavia, un partito di Renzi servirebbe più che altro a «sgonfiare il Pd, delegittimando indirettamente anche le primarie».



SWG invece non ha svolto rilevazioni ma fa notare che Macron, il modello a cui l’ex premier guarda, funziona nel sistema elettorale francese mentre in Italia un 10% serve a investire sul lungo periodo e non sul breve:



Per Roberto Weber, di Ixé, l’avventura avrebbe un tono ancora minore: «A settembre lo abbiamo stimato al 5-6%. Il suo dimensionamento potenziale era all’8%, ma considerato che di solito le previsioni sui partiti personali sono a rialzo di un terzo, abbassiamo al 5-6%. Tutti voti in arrivo dal Pd, o quasi». Senza contare che, aggiunge, «Renzi ha un gradimento tra i più bassi, tra i leader».

Un giudizio negativo condiviso anche da Nicola Piepoli, presidente dell’omonimo Istituto: «Non abbiamo testato il partito di Renzi perché lo giudichiamo inattuale. A voler far numeri, diciamo che potrebbe valere il 2%… Come il partito della scissione di Bersani e D’Alema, insomma».

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