L’intuizione è partita quando ci si è resi conto che gli sforzi per salvare una donna vittima della violenza di un uomo avrebbero sì avuto effetti positivi su di lei, ma se ci si fosse concentrati sull’aggressore, provando a intervenire sui suoi comportamenti, i benefici sarebbero stati di gran lunga maggiori. Un uomo violento può avere, potenzialmente, molte più vittime. È il principio su cui si basa il “Protocollo Zeus”, messo a punto da Alessandra Simone, nominata a maggio dirigente superiore della polizia di Stato, questora, dopo che il suo ultimo incarico precedente era quello di dirigente dell’Anticrimine di Milano. Grazie a lei, oggi, il nuovo approccio è operativo in trenta città italiane.
“Proprio per proteggere e aiutare le donne – spiega in un’intervista a Repubblica – abbiamo studiato e continuiamo ogni giorno a lavorare sul Protocollo Zeus. Considerare gli uomini solo antagonisti e carnefici non serve a nessuno, neanche alle donne. Rieducare, senza sminuire la gravità di quanto fatto ma facendola comprendere, è una strada”. Il meccanismo è semplice: quando alcune condotte iniziano a destare preoccupazione, e si pensa possano sfociare in violenza, il questore emette un “ammonimento” per stalking o violenza domestica. L’uomo viene convocato e gli si intima di interrompere ogni forma di aggressione, e viene poi invitato a seguire un percorso di recupero in un Cipm, un centro specializzato nel contrasto alla violenza e per i conflitti interpersonali. Con ottimi risultati. “Dal 2018 a Milano e provincia – spiega Simone – abbiamo ammonito e invitato a seguire il percorso oltre 300 uomini violenti, il 90 per cento di loro non ha più manifestato forme di violenza e ha capito il disvalore delle sue azioni e le mogli, ex mogli, compagne hanno riacquistato serenità”.
Controlli periodici vengono fatti per assicurarsi che non ci siano ricadute, ma la percentuale di recidiva è bassissima se si agisce in tempo. Un approccio, quello che responsabilizza l’uomo, apprezzato anche dalle donne: “Si sentono aiutate, capite. Vogliono essere aiutate, ma vogliono anche salvare i loro compagni. Tante di loro si vergognano a denunciare. Una cosa in tutti questi anni ho capito, ed è fondamentale: le donne vittime di violenza non vogliono compassione ma comprensione, altrimenti alzano un muro e non è più possibile aiutarle”.