L'Italia, l'uscita dall'euro e la storia che non fa retromarcia

Barry Eichengreen interviene nel dibattito sull'uscita dall'euro dell'Italia. E sconsiglia il caos finanziario che deriverebbe dall'addio alla valuta unica

Barry Eichengreen, professore di Economia e Scienza politica all’Università di Berkeley, sul Sole 24 Ore interviene oggi nel dibattito «serio» sull’euro animato da Luigi Zingales per spiegare che nella storia non c’è retromarcia. Eichengreen sostiene che il paese è bloccato “a causa delle restrizioni dei mercati dei prodotti e un sistema fiscale inefficiente”; poi dice che chi vuole abbandonare l’euro sostiene che reintroducendo la lira e svalutandola le esportazioni e la crescita del Belpaese riceverebbero una spinta:



Dal momento che la torta si ingrandirebbe, gli interessi costituiti sarebbero meno determinati a difendere la loro fetta immutabile e più inclini ad accettare riforme che accrescono la flessibilità. Però non esistono dati che indichino in modo univoco che i Paesi fanno più riforme nei periodi in cui l’economia tira. E anche il confronto tra l’esperienza italiana negli anni relativamente positivi prima del 2007 e gli anni più difficili successivi a quella data non induce a pensare che più prosperità renda possibile fare più riforme. Anzi, induce a temere che la reintroduzione della lira sarebbe visto come una sorta di elisir magico che rende inutili ulteriori riforme.
Inoltre, abbandonare l’euro avrebbe due costi seri. Il primo è che scatenerebbe il caos finanziario. Sapendo che la lira viene introdotta per lasciarla deprezzare rispetto all’euro, gli investitori fuggirebbero via. Il mercato azionario e il mercato obbligazionario crollerebbero. Importanti istituzioni finanziarie diventerebbero insolventi e bisognerebbe chiudere le banche a tempo indeterminato come è successo a Cipro, e dopo imporre restrizioni sui prelievi. Dovrebbero essere applicati controlli di capitale come quelli che l’Islanda ha appena eliminato (quasi dieci anni dopo averli introdotti). Non sembrano le condizioni ideali per un pronto ripristino della crescita.

Cosa succede se la Grecia esce dall’euro (Repubblica, 25 maggio 2015)

Eichengreen spiega che scioglimenti di unioni monetarie senza contraccolpi sono avvenuti in circostanze diverse. E l’addio all’euro comporterebbe mettere a rischio l’accesso dell’Italia al mercato unico:



L’abbandono dell’euro sarebbe visto dai partner europei come un atto ostile, una revoca da parte italiana dei doveri prescritti dai trattati. Il deprezzamento della lira sarebbe visto come un tentativo di risolvere i problemi degli esportatori italiani a spese dei loro concorrenti esteri, spingendo la Germania e altri a replicare con restrizioni ai commerci. Il Regno Unito ha scoperto che abbandonare l’Unione Europea conservando l’accesso al mercato unico è (come dirlo in modo educato?) complicato. L’Italia scoprirebbe che abbandonare l’euro conservando pieno accesso al mercato unico è altrettanto complicato.

Un sondaggio di Demopolis sull’uscita dall’euro

Eichengreen però dice che ci sono riforme da effettuare per rendere funzionante pienamente la zona euro. Il completamento dell’unione bancaria, la disconnessione delle banche dal mercato del debito pubblico e, soprattutto, restituire la responsabilità della politica di bilancio ai gioverni nazionali. E consiglia anche di buttare a mare il bail in:



Ci sono preferenze nazionali differenti in materia di politiche di bilancio, e i tentativi di supervisione di Bruxelles servono soltanto ad aggravare le tensioni. Le contese che ne sono nate hanno peggiorato le prospettive di integrazione politica, creando conflitti e disarmonia. Non c’è decisione di politica nazionale più intima di quanto tassare e cosa spendere. La tesi, popolare in Germania, che il «rimpatrio» delle competenze in materia sia impraticabile perché la politica di bilancio ha forti ripercussioni oltreconfine non è supportata dai dati. Se il timore è che l’indisciplina di bilancio destabilizzi le banche costringendo la Bce a rispondere con finanza inflazionistica, allora la soluzione è semplicemente, di nuovo, disconnettere le banche dal mercato del debito pubblico.
La terza riforma essenziale è buttare a mare le regole europee sul bail-in, che impediscono al Governo italiano di usare le sue risorse di bilancio per ricapitalizzare le banche. Se rimane nell’euro, l’Italia avrà la possibilità di sostenere queste riforme. Se ne resta fuori, avrà poche speranze di influenzare le decisioni dei suoi vicini. Certo, in assenza di riforme l’euro rimarrà una pietra al collo del Paese. Ma in definitiva se l’economia italiana affonderà o resterà a galla non dipenderà dal peso di questa pietra, ma dalla capacità di intraprendere le riforme necessarie in patria.

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