Il giornalista che ha fatto carriera con i soldi pubblici e ora è contro i contributi pubblici

Filippo Facci su Libero ci racconta le tante virtù di Gianluigi Paragone

Oggi Filippo Facci su Libero se la prende con Gianluigi “Bombatomica” Paragone facendo notare ciò che è più imbarazzante nelle crociate del giornalista-parlamentare eletto con il MoVimento 5 Stelle:



«Lo dicevo prima e posso ribadirlo adesso: i giornalisti italiani sono una casta», parole sue. E quando lo diceva, Paragone? Forse la prima volta che sentimmo parlare di lui: quand’era direttore della Padania, da immaginarsi con quale indipendenza (e con quali meriti fosse stato insediato) in un periodo in cui i giornali di partito non vivevano «anche» grazie ai fondi per l’editoria, ma solo ed esclusivamente grazie a essi. Poi che ha fatto, l’uomo che «lo diceva prima»?

Dopo il periodo probabilmente più libero della suavita (a Libero, appunto, quotidiano che già percepiva gli orribili fondi) il lottizzato Paragone, coi piedi in due caste, approdava dal niente alla vicedirezione di Raiuno e alla conduzione di sbracatissimi programmi tipo «Malpensa, Italia» (poteva chiamarlo direttamente «Gemonio, Italia», a quel punto) e inaugurava quella che a parere dello scrivente è la serie di talkshow più brutti, squallidi, volgari e arruffapopolo che avevamo mai visto. Poi, passando d’un tratto alla direzione di Raidue per logiche sicuramente molto professionali, e soprattutto annusata l’aria che tirava, cercò di ri-verginarsi annunciando «mi dimetto da giornalista di centrodestra» e intensificando la caciara di puntate titolate, per esempio, «Politici,ora basta!».



Si mise l’orecchino e cominciò a introdurre le puntate suonando la chitarra. Una sera, in diretta, meritò il commento del compianto Giorgio Straquadanio: «Paragone si sta già preparando il futuro». E tu prova a smentirlo. Paragone ci provò: «La Rai non è della politica», rispose. No, infatti: la Rai è dei partiti. Intervistato dal Corriere, disse: «La mia è una trasmissione di rottura disordinata, io non ho le idee chiare, non è populismo, forse è anarchia, è il disordine che viene dal fatto che non riesco più a trovare un senso o un ordine a quello che sto vivendo».



E siamo perfettamente d’accordo con lui. Ma adesso andiamo veloci,sennò si fa noiosa: d’un tratto diventò amicissimo di Urbano Cairo e Diego Della Valle ed ecco «La gabbia» su La7, l’antisistema come estetica, l’antieuro come missione, le teorie del complotto come fondali. Diventò l’idolo dei deficienti no vax. Sinché venne cancellato dal nuovo direttore di rete.

Rimasto a spasso, dopo aver usato la politica per fare il giornalista, usò il giornalismo per fare il politico: a fine settembre 2017 condusse la kermesse che incoronò Di Maio candidato premier e se lo portò dietro nella presentazione del suo sobrio libro «Gang Bank. Il perverso intreccio tra politicaefinanzacheci frega il portafoglio e la vita». Candidato nel listino. Eletto. A quel punto mancava solo un suo blog sul Fatto Quotidiano. Fatto.

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