Jindal e CdP: Renzi ha una nuova cordata per rilevare l’ILVA

Matteo Renzi è già al lavoro per un’alternativa: una sorta di replica della cordata con dentro Sajjan Jindal, già proprietario delle ex acciaierie Lucchini di Piombino, il gruppo Arvedi di Cremona e Cassa depositi e prestiti

Quando le cose si mettono male, Matteo Renzi ha una nuova cordata. Stavolta servirà a rilevare l’ILVA, secondo quanto scrivono Repubblica e la Stampa, e sarebbe composta dagli indiani di Jindal e da Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Ricorderete che qualche tempo fa – era il settembre 2016 – si parlò per molto tempo di fantomatici arabi pronti a entrare nel Monte dei Paschi di Siena: la storia portò il titolo a fare qualche balzo in Borsa mentre i quattro fondi a dicembre, come nelle migliori famiglie, sparirono e i soldi per salvare la banca dovette metterceli lo Stato. Altri tempi, mica come quelli che ci racconta oggi Annalisa Cuzzocrea su Repubblica:



Il ministro allo Sviluppo Stefano Patuanelli assicura che l’immunità non tornerà. Il Pd fa da sponda, immobile, spettatore di una vicenda in cui non ha fatto altro che affidarsi alle parole dell’alleato. Mentre Matteo Renzi è già al lavoro per un’alternativa: una sorta di replica della cordata che, ai tempi del governo Gentiloni, aveva perso la gara contro Arcelor Mittal. Con dentro Sajjan Jindal, già proprietario delle ex acciaierie Lucchini di Piombino (nel cda c’è l’amico fraterno del leader di Italia Viva Marco Carrai), il gruppo Arvedi di Cremona e Cassa depositi e prestiti.



Carlo Bertini e Ilario Lombardo sulla Stampa hanno evidentemente le stesse fonti:

Tanto per capire, ai piani alti del Pd si caldeggia un decreto per ripristinare lo scudo penale per i manager Ilva, «proprio per togliergli l’alibi». Ma nelle stanze del governo e dei 5stelle questa eventualità viene esclusa. «La tutela è solo una scusa», dicono da Palazzo Chigi. Dove sono convinti che l’azienda voglia altro. Ma il Pd ritiene che un decreto avrebbe l’effetto di mettere all’angolo l’azienda franco-indiana. Anche Matteo Renzi invita il governo «a togliere subito alla proprietà ogni alibi eliminando gli autogol come quello sulla immunità».



Era stato proprio lui tra i più inferociti contro l’ipotesi di stracciare la tutela legale inserita dal suo governo, dal ministro Calenda, per salvaguardare commissari e futuri acquirenti di Ilva. Renzi è furente, perché da sempre sostiene che Mittal cercasse un pretesto. Ora lavora per riesumare la vecchia cordata Cdp-Jiindal-Arvedi per sganciarsi dal ricatto di Mittal. Posizione che anche nel Pd troverebbe proseliti. I Dem sono irritati con gli alleati, rei di aver costretto la maggioranza a votare la norma che toglie l’immunità penale ai manager Ilva.

E puntano ad alzare il tiro: «Se gli ridiamo l’immunità con un decreto e loro ci dicono “non ci interessa”, perché vogliono risparmiare sul prezzo della seconda rata, 1,5 miliardi, e ci vogliono scaricare 5 mila esuberi, potremmo mettere un super commissario e rifare la gara tra un anno», sostiene un ministro di primo piano.

Già, cosa può andare storto?

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