Niente inglese, siamo dipendenti pubblici italiani!

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Opere di misericordia culturale o prove tecniche di sovranismo linguistico? Il Ministro Bongiorno, “Basta inglese: il digitale per la PA dovrà parlare solo in italiano”

Anche nel digitale, prima l’italiano. Bando all’uso della lingua inglese, tuona il ministro Giulia Bongiorno: d’ora in avanti il Ministero della Pubblica Amministrazione sarà tenuto a usare italianissimi termini sovrani per indicare ogni tipo di attività informatica. L’autorevole indicazione del Ministro è venuta durante il convegno nazionale su “Digital Italy 2018” tenutosi dal 26 al 28 novembre a Roma. Nelle sale del Campidoglio, Giulia Bongiorno ha severamente criticato l’utilizzo di inglesismi nella prassi tecnologica della PA italiana, sostenendo che l’uso di termini stranieri è un fattore che impedisce l’inclusione nei processi di innovazione digitale di gran parte del personale della PA, che non capisce l’inglese. Si plachino quindi subito i malpensanti: nessuno deve attribuire l’indicazione del ministro Bongiorno a uno slancio di nazionalismo linguistico. Per quello, come è noto, sono già maestri i cugini francesi. Risparmiatevi dunque gli scontati riferimenti al sovranismo glottologico di epoca fascista, virile risposta italica al contagio linguistico della Perfida Albione, voi malevoli globalisti che non siete altro: vietare l’uso dell’inglese per il Ministro Bongiorno è solo una specie di ottava opera di misericordia culturale per i poveri dipendenti della PA, che proprio non ce la fanno a capire che sotto l’incomprensibile termine “smartphone” si cela in realtà un banale telefonino, che “software” non è una marca di carta igienica a 4 veli e che la “blockchain” non indica un robusto antifurto per biciclette.



Invece di accelerare sull’introduzione di esoteriche tecnologie “on line”, come già ampiamente realizzato dal complotto tecnocratico in tutti gli altri Paesi europei, quindi, il Ministero per la Pubblica Amministrazione punta a pre-pensionare 450mila dipendenti nel prossimo triennio e ad assumere altro personale in sostituzione, mantenendo nel contempo la purezza dell’identità culturale. Per quelli che rimangono, par di capire dalle parole di Giulia Bongiorno, dovrà essere la tecnologia internazionale ad adeguare il proprio linguaggio alla prassi e al livello culturale dei dipendenti della PA, e non il contrario. Il Ministro Bongiorno non ha tutti i torti a pensarla così. I dati del report OCSE “Government at a Glance” sono senza appello: tra le pubbliche amministrazioni dei 32 paesi membri, l’Italia ha la più bassa percentuale di dipendenti sotto i 35 anni (2% contro il 18% media OCSE) e la più alta percentuale di dipendenti sopra i 54 anni (45% contro il 22% media OCSE). Traduciamo, per chi non abbia dimistichezza con le percentuali: laddove in media nelle nazioni più sviluppate ci sono 9 impiegati della PA con meno di 35 anni, in Italia ce n’è solo 1, in Francia 10, in Germania 15. L’Italia è l’ultimo Paese occidentale per numero di impiegati della PA sotto i 35 anni. In compenso, mentre in media gli impiegati sopra i 54 anni sono poco più di due su dieci, in Italia risultano più del doppio. L’Italia non solo ha il record mondiale di impiegati della PA sopra i 55 anni, ma – come si vede dal grafico tratto dal rapporto OCSE – ha anche aumentato tale percentuale più di tutti gli altri Paesi nel periodo 2010- 2015, quando è passata dal 32% al 45% (fonte: OCSE, Government at a Glance 2017, pag. 95).

Grafico: Government at a Glance, OCSE 2017

 



Nel Conto annuale del Mef, nel 2016 l’età media della PA italiana era 50,3 anni, con picchi di oltre 52 anni nei ministeri, nelle regioni, nella scuola e nell’università. Secondo quando affermato dal ministro Bongiorno, inoltre, l’età media dei dirigenti della PA italiana si aggira oggi sui 56 anni. Età media, ribadiamo: vuole dire che una gran parte di loro ha come prospettiva concreta quella di puntare rapidamente alla pensione, non certo lo stimolo a prendersi rischi e responsabilità per promuovere l’innovazione. Quindi, sembra di poter dedurre dal ragionamento del Ministro Bongiorno, è ingiusto mettere anche la croce dell’apprendimento della lingua inglese sulle spalle di una PA italiana che deve pensare alla pensione, oltre a dover sopportare di avere a che fare con un popolo così tecnologicamente scettico come quello dello Stivale. Tutto vero. Peccato, però, che lo scetticismo digitale degli italiani si applichi quasi solo ai rapporti con la PA, e non anche all’intrattenimento o ai social media, dove invece i numeri di utenti digitali sono il doppio e il triplo di quelli che accedono ai servizi on-line della pubblica amministrazione. Secondo l’indice DESI (vedi tabella più oltre), che misura l’andamento degli indicatori sull’economia e sulla società digitale, l’Italia è ultima in Europa per percentuale di utenti dei servizi digitali di eGovernment. È un dato decisamente peggiore di quello registrato per l’uso di molti altri servizi online: risulta un chiaro indicatore della scarsa utilizzabilità pratica dei servizi pubblici on line, la cui esperienza d’uso non è esattamente leggendaria. Basti pensare che sono il 79% gli italiani che usano internet per accedere a musica, video e giochi, e il 61% quelli che utilizzano i social network digitali, mentre sono rispettivamente solo quasi un terzo dei primi e meno della metà dei secondi quelli che usano i servizi della PA on-line: solo il 30%, il dato più basso di tutta Europa (Fonte: Indice DESI 2018 ).

Tabella: Indice DESI 2018 sui servizi pubblici digitali in Italia

 



La differenza tra l’approccio conservatore e vagamente nazionalista del Governo italiano, illustrato nell’intervento del ministro Bongiorno, e quello degli altri Paesi europei non poteva essere più evidente. In occasione del convegno di apertura di “Digital Italy 2018” al Campidoglio, le esperienze di innovazione digitale illustrate dai rappresentanti dei Paesi nordici, Gran Bretagna, Svezia ed Estonia, sono suonate come uno sonoro schiaffo all’arretratezza e alla farraginosità che tuttora caratterizzano la situazione italiana. Nel Nord Europa, la quasi totalità dei rapporti tra cittadino e Stato può essere gestita on line, senza bisogno di sportelli fisici, di carta e di tempo perso in code e ad attendere documenti fisici. Valga per tutti la battuta dell’Ambasciatrice dell’Estonia, che, non senza un pizzico di provocazione, ha detto che da loro l’unico caso in cui la PA richiede tassativamente la presenza di un cittadino è in occasione del matrimonio. Stiamo lavorando per migliorare anche quel processo, ha chiosato l’Ambasciatrice estone, ma ci consola il fatto che per i nostri cittadini un’incombenza del genere si verifica relativamente poche volte nella vita…

Il contrasto tra le linee guida esposte dal Ministro Bongiorno e il livello del dibattito tra gli specialisti del settore è risultato evidente anche in riferimento alle altre voci intervenute sul tema dell’innovazione digitale in Italia. Lo stesso presidente di Ferrovie dello Stato, Gianluigi Castelli, nel suo contributo al convegno, ha esposto una strategia ambiziosa di integrazione digitale dei servizi di mobilità sostenibile intermodale, pur ribadendo di voler rimanere con i piedi ben saldati a terra…Siderale è risultata infine la distanza tra i propositi organizzativi del Ministro Bongiorno e le più avanzate riflessioni sui temi digitali, esposte dagli studiosi intervenuti sui temi di etica dell’intelligenza artificiale e di responsabilità sull’utilizzo degli algoritmi, come Luiciano Floridi della Oxford University e Carlo Alberto Carnevale Maffè dell’Università Bocconi. Tra le proposte emerse in merito al rapporto tra PA e mondo dell’economia, va segnalata quella che traguarda un orizzonte di scambi informativi che vada oltre lo scambio documentale della fatturazione elettronica (non si utilizza qui l’espressione standard “e-invoicing” per rispettare le indicazioni ministeriali in materia): su questo delicato ma fondamentale passaggio di integrazione digitale dei processi amministrativi e fiscali, si è discusso nel convegno, invece di pensare a leggi e regolamenti scritti in italiano burocratico, è opportuno cominciare ad adottare il coding informatico come “linguaggio” rigoroso ed efficiente per regolamentare gli scambi informativi tra PA e imprese. Non basta quindi che i tradizionali modelli normativi e i regolamenti attuativi introducano un cambiamento di “formato documentale”, passando dalla carta al digitale, ma devono cominciare a includere una libreria di “smart contracts” che, entro un quadro normativo semplificato, consenta di affidare a processi di esecuzione automatica una buona parte delle transazioni tra mondo delle aziende e pubblica amministrazione. Il rapporto PA-imprese può quindi venire progressivamente sottratto all’arbitrarietà dei tempi e delle modalità di interpretazione dei singoli soggetti istituzionali coinvolti, diventando più snello, rapido e basato su criteri oggettivi. In questa prospettiva, sul tavolo del Ministro Bongiorno rimane una fondamentale sfida: verificare se esiste una versione del linguaggio di programmazione “C++” con le istruzioni in italiano.

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