Sono già 2500 le vittime di Ebola, mentre il numero degli attuali contagiato dovrebbe essere a quota cinquemila. E il ministro dell’informazione liberiano Lewis Brown ha detto a The Independent che l’epidemia fa rischiare il collasso a tre interi stati. Secondo Brown i media internazionali non si rendono conto della gravità della situazione per un’epidemia che è ormai andata al di là della crisi nazionale e minaccia ogni aspetto dell’esistenza della Nazione (liberiana), così come della Guinea e della Sierra Leone.
L’EPIDEMIA DI EBOLA IN LIBERIA, SIERRA LEONE, GUINEA E CONGO
«La verità è che la gente ha bisogno di capire con cosa abbiamo a che fare», ha aggiunto Brown, «in Liberia festeggiavamo il nostro undicesimo anno di pace; adesso stiamo sperimentando il crollo del 90 per cento dei settori produttivi della nostra economia. Ci saranno terribili conseguenze per ogni aspetto della nostra vita». Solo il 40% del totale delle strutture sanitarie del paese è oggi in funzione in Liberia, le scuole sono chiuse e un intero raccolto agricolo è andato sprecato nel nord est del paese, dove sono stati registrati i primi casi di Ebola. Meno allarmanti le notizie dal Congo, dove l’epidemia di Ebola ha causato finora 40 morti in una zona remota nord-ovest della Repubblica Democratica , ma la malattia è sotto controllo secondo le autorità. Il portavoce del governo, Lambert Mende, presentando il bilancio della situazione in tv, in seguito ad un consiglio dei ministri, ha parlato di 71 casi sospetti dalla comparsa della malattia, l’11 agosto scorso nella zona di Boende, località di provincia sull’Equatore, 800 km a nord-est della capitale Kinshasa. Negli ultimi dieci giorni, nuovi casi legati al virus Ebola sono stati confermati nella zona di Djera, epicentro del focolaio, ha aggiunto, sottolineando comunque che «l’epidemia si avvia ad essere totalmente sotto controllo». È la settima volta dal 1976 che l’Ebola colpisce la Repubblica Democratica del Congo, ma sia le autorità locali che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritengono che l’epidemia nel paese centrafricano sia differente da quella che ha colpito l’Africa Occidentale, provocando oltre 2500 morti dall’inizio dell’anno.
E’giusto dare medicine si spera salvavita soltanto ai «nostri»?Jean-François Delfraissy, dell’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica a Parigi, dice a Le Monde che il problema si porrebbe«se avessimo medicine che guariscono nel 100% dei casi. Ma per il momento non è così. Sperimentiamo questi farmaci, di cui non conosciamo bene gli effetti,sui pazienti occidentali perché le dosi disponibili sono minime». Senza contare che malati sotto trattamento«come l’infermiera francese si prendono dei rischi». Cavie più che privilegiati? La questione morale, sostiene Delfraissy, è semmai la grande differenza nelle strutture di assistenza: se l’epidemia fosse scoppiata in Francia «il tasso di mortalità sarebbe stato del 15%» contro il 50% che si registra nei Paesi africani colpiti dove risulta«difficile anche solo l’idratazione dei pazienti, essenziale per tentare di salvarli».Non vede un dilemma morale il ministro della Cultura della Sierra Leone, Peter Bayuku Konteh, che è anche cittadino italiano e milanese d’adozione, in queste ore impegnato nella supervisione del blocco dell’intera popolazione. Kontehdice al Corriere: «Ben venga la sperimentazionedovunque sia fatta.La nostra priorità è contenere l’epidemia.Noi qui crediamo comunque che prima di usare questi farmaci in Occidente, i ricercatori li bbiano già sperimentati in Africa».