Salvini aveva detto che avrebbe trovato alleati in Europa per fermare la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, Di Maio sosteneva che il fronte si sarebbe spezzato presto. Ieri i governi dell’Unione Europea hanno concordato con la Commissione: una procedura d’infrazione sul debito è giustificata.
Spiega oggi Alberto D’Argenio su Repubblica che un documento di sei pagine contiene l’opinione che i governi (articolo 126,4 del Trattato Ue) hanno delle politiche economiche gialloverdi.
Il testo è stato negoziato nel fine settimana e la proposta finale, a mo’ di compromesso, è stata fatta scivolare sul tavolo dalla Germania. Da un lato Francia e Spagna, alle prese con guai di bilancio e quindi favorevoli a sorvolare sulle violazioni altrui, che hanno chiesto un esplicito riferimento al dialogo. La formulazione finale su richiesta dei nordici però è più sfumata di quella adottata a dicembre, con gli sherpa governativi che lasciano aperto uno spiraglio solo in modo indiretto affermando che «ulteriori elementi eventualmente portati dall’Italia potranno essere presi in considerazione da Commissione e governi». Ma c’è anche il pugno duro dei rigoristi nel passaggio in cui i governi invitano l’Italia «a prendere le misure necessarie per assicurare il rispetto del Patto di stabilità in linea con la procedura sul debito». E visto che anche le sfumature contano, la formulazione sembra dare per scontata l’infrazione.
Il segnale quindi è chiaro. O il governo italiano trova il modo di portare a casa perlomeno una manovrina da 3,5 miliardi di euro, magari utilizzando i risparmi di reddito di cittadinanza e quota 100, oppure la procedura d’infrazione arriverà. E rischia di lasciare i conti dell’Italia sotto il controllo stretto della UE per almeno cinque anni: non male per un governo che si dice sovranista.
Non c’è solo questo. Federico Fubini sul Corriere della Sera fa sapere che Bruxelles ha intenzione di chiedere l’impegno non solo a Giuseppe Conte e a Giovanni Tria, ma anche a Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Bruxelles ha bisogno di documenti formali, una risoluzione del Parlamento o una lettera del governo; in questo caso però firmata anche da Di Maio e Salvini con Conte. Questa è la novità politica che arriva oggi dall’Ue: la richiesta che per la prima volta i leader politici del Paese siano coinvolti e si prendano una responsabilità personale degli impegni dell’Italia a Bruxelles.
Senza i quali,avanzerebbe una procedura che in luglio prevede un ulteriore rapporto della Commissione: lì dentro sarebbe disegnato un piano di rientro del debito anno dopo anno, con la prima manovra da attuare già entro sei mesi. Ma il problema ulteriore è proprio l’impostazione della manovra. E la delega di cui potranno godere sia Conte che Tria nel corso dei negoziati. Oggi a Palazzo Chigi si siederanno di fronte ai tecnici del Mef anche gli esperti economici della Lega e del Movimento.
C’è dunque una sorta di cordone politico che si sta formando, con l’intento di non lasciare solo al profilo istituzionale, dunque al premier e al ministro, la responsabilità di impostare la manovra e spiegarla a Bruxelles. Non per nulla ieri Conte ha ribadito che «io sono il presidente del Consiglio e che non c’è alcun problema di delega». Una smentita che non ha affatto convinto la platea e che è in qualche modo contraddetta dal fatto che i tecnici della Lega si vedranno oggi con quelli del Mef.
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