Il Tfr che Calenda ha chiesto al ministero

L'ex ministro prima di lasciare ha chiesto 40mila euro di indennità di fine rapporto. Ma la Ragioneria dello Stato gli ha risposto picche

Il Fatto Quotidiano racconta oggi in un articolo a firma di Lorenzo Vendemiale una storia curiosa che riguarda Carlo Calenda. L’ex ministro dello Sviluppo ha provato a chiedere il trattamento di fine rapporto dopo la fine dell’incarico al ministero, ma la Ragioneria dello Stato gli ha risposto picche:



Siamo ad aprile 2018, un mese dopo le elezioni politiche, in piene consultazioni per la formazione del nuovo governo: nei vari ministeri i rappresentanti del vecchio esecutivo Gentilonicominciano a fare gli scatoloni. E dal Mise parte una strana richiesta, che quando è arrivata a via XX settembre lascia di stucco i tecnici della Ragioneria: Calenda chiede la “corresponsione” dell’indennità di fine mandato per le cariche da lui ricoperte al dicastero.

Prima sottosegretario e viceministro dei governi Letta e Renzi da maggio 2013 a marzo 2016, quindi una brevissima parentesi di un paio di mesi a Bruxelles come rappresentante permanente Ue dell’Italia, per poi tornare a Roma, stavolta proprio come ministro, di nuovo per Renzi e infine per Gentiloni. Praticamente l’intero arco della legislatura.



Secondo la normativa di riferimento, il Tfr viene calcolato sulla base dell’indennità parlamentare: per ogni anno di mandato, si ha diritto all’80% del lordo mensile che ammonta a 10.435 euro. Sono circa 9.400 euro: così al termine di una legislatura l’assegno arriva poco sopra i 40 mila euro. È più o meno la cifra che avrebbe voluto Calenda.

C’è un problema, però: lui era un ministronon parlamentare,per cui l’ordinamento non prevede il Tfr:



I membri del governo extraparlamentari prendono un’indennità, circa 9.500 euro lordi al mese. Dal 2000 è stata estesa anche a loro la diaria parlamentare (altri3.500 euro netti), come rimborso delle spese sostenute nella Capitale. Non c’è però l’assegno di fine mandato. Anche perché loro non versano nulla, a differenza dei parlamentari a cui ogni mese viene trattenuta una quota dell’indennità(784 euro per i deputati, 699 per i senatori), come contributo per il trattamento di fine rapporto.

Ed è proprio quello che gli ha risposto la Ragioneria dello Stato: per legge il Tfr non gli spetta. Non solo: riconoscerglielo avrebbe significato creare un onere per lo Stato sprovvisto di copertura, visto che lui non ha mai lasciato un centesimo della sua indennità nell’apposito fondo.

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