Don Vinicio Albanesi ha 72 anni ed è il parroco di San Marco alle Paludi di Fermo: l’altra notte una bomba è esplosa davanti alla sua chiesa mandando in frantumi vetrate e rosone. Si tratta della terza bomba nel giro di pochi mesi, dopo il Duomo e San Tommaso. Il sospetto è che la bomba sia esplosa perché è la parrocchia di un quartiere ”problematico”, Lido Tre Archi, che ha un parroco noto in tutta Italia per le sue battaglie in difesa degli ultimi.
”Una chiesa attiva su tutti i fronti – commenta il sacerdote -, contro il degrado del quartiere e per l’accoglienza dei migranti, probabilmente dà fastidio. Quando uno dice ‘messa e rosari e basta’ non infastidisce nessuno”. In assenza di rivendicazioni e di minacce pregresse, è però difficile ricostruire la matrice di questo triplice ”avvertimento” o ricatto, diretto forse a uno o a tutti e tre i sacerdoti, tutti impegnati nel sociale: don Pietro Razzi, vicario del Duomo e direttore della Caritas, don Sebastiano Serafini, parroco di San Tommaso e responsabile di un centro Caritas, lo stesso don Albanesi. Coordinati dalla procura di Fermo, che procede per danneggiamento aggravato dall’uso di esplosivo, i carabinieri (supportati dal Ris), tendono ad escludere la pista terroristica o anticlericale. Guardano piuttosto alla criminalità comune, che gestisce lo spaccio di stupefacenti e la prostituzione, piaghe storiche di Lido Tre Archi. L’ordigno fatto scoppiare nella notte fra il 27 e il 28 marzo davanti alla Cattedrale, quello del 7-8 marzo a San Tommaso e l’ultimo erano quasi identici: semplici barattoli riempiti di polvere pirica o da sparo ”rinforzata”, di facile realizzazione. Chi li ha piazzati conosce bene le abitudini dei tre sacerdoti, e ieri notte ha atteso che il centro sociale comunale di San Marco chiudesse i battenti per entrare in azione. ”Sanno che non abito lì” sottolinea don Vinicio, e forse per questo ”hanno alzato il potenziale offensivo”. Nell’area non ci sono telecamere e nessuno avrebbe visto niente, salvo un testimone che ha descritto un’auto che procedeva a fari spenti da e verso Fermo più o meno a quell’ora. Tanti i messaggi di solidarietà giunti dalle istituzioni (il sindaco di Fermo, la giunta e il consiglio regionale), dal mondo politico e dalla stessa Chiesa, a partire dal cardinale Edoardo Menichelli, che ha espresso a don Albanesi la vicinanza della Conferenza episcopale. Domani in Prefettura il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica valuterà eventuali misure di sorveglianza più stringenti. Ma a sentir parlare di scorta, don Vinicio si mette a ridere: ”Io vado avanti, non mi fermano. La mia vita è nelle mani di Dio”.
Nessuno pare abbia visto gli attentatori, ma un testimone avrebbe notato un’auto viaggiare a fari spenti verso Fermo e poi tornare indietro più o meno negli stessi momenti. Sono ancora pochi gli elementi in mano ai carabinieri e alla procura, in attesa dell’arrivo degli specialisti del Ris per i primi accertamenti tecnici più approfonditi. Il boato, potente, ha svegliato molte persone, e mandato in frantumi le vetrate della chiesa e frammenti del rosone: nessuna rivendicazione del gesto fino a questo momento, nessuna minaccia precedente ricevuta dal parroco e neppure dal vescovo e dalla Caritas. Gli investigatori sono certi che l’intimidazione sia collegata alle due bombe carta, di potenziale minore, fatte esplodere nella notte fra il 27 e il 28 febbraio davanti alla residenza del vicario del Duomo, in via della Rocca, e nella notte fra il 7 e l’8 marzo di fronte al portone della Chiesa di San Tommaso. Chi ha agito conosce bene la zona e le abitudini dei sacerdoti: sa che don Albanesi non vive nella canonica di San Marco, e ha atteso la chiusura notturna del vicino centro sociale comunale per piazzare l’ordigno. Sul posto sono subito arrivate pattuglie dei Cc e della Polizia e i vigili del fuoco.