Verità e bugie nell'intervista di Renzi al Corriere

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-09-18

L’ennesima guerra di chiacchiere del premier con l’Unione Europea oggi prevede un’intervista al Corriere della Sera. Invece di parlare, parlare, parlare, il premier dovrebbe semplicemente cominciare a fare

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Oggi Matteo Renzi ha rilasciato un’intervista a Maria Teresa Meli del Corriere della Sera riguardo politica europea, immigrazione ed economia. L’intervista è interessante soprattutto per quello che il presidente del Consiglio dice sull’austerità e sulle sue intenzioni (sempre bellicose, in partenza, salvo ripensarci all’arrivo) riguardo la prossima Legge di Stabilità.

Verità e bugie nell’intervista di Renzi al Corriere

Il premier comincia dall’argomento più facile, ovvero dalla critica ai risultati (modesti, come sempre del resto) del vertice di Bratislava e sull’abitudine europea di «discutere le virgole di un documento che dice tutto e non dice nulla»; dice una cosa vera quando sostiene che «bisogna riconoscere che l’austerity europea ha fallito mentre la politica americana di investimenti ha portato l’amministrazione Obama al record di posti di lavoro. Non è un attacco, ma solo la realtà dei fatti». Se la prende con le conferenze stampa in cui «si dice tutto e non si dice nulla» e segnala che «Se continua così più che lo spirito di Bratislava discuteremo del fantasma dell’Europa. A Bratislava abbiamo fatto una bella crociera sul Danubio, tutti insieme. Ma io speravo di rispondere alla crisi provocata dalla Brexit, non solo di farmi un giro in barca». Un attacco alla burocrazia europea che il premier porta utilizzando gli strumenti del populismo che in altre occasioni ha detto di aborrire, ma tutto questo, in realtà, è secondario. Perché l’obiettivo vero di Renzi è la politica economica europea. E infatti nel trittico di domande successivo si entra nel merito della questione. E, come da copione, qui Renzi si va a infilare in un territorio pericoloso tra verità e bugia:

Qualcuno dice che lei sta facendo tutto questo per la legge di Stabilità.
«La legge di Bilancio italiana è pronta. Onora le regole europee, il deficit scende ancora, rispetta i parametri del fiscal compact che il Parlamento precedente ha votato su indicazioni di Brunetta e Fassina, responsabili economici dei partiti di allora. Dunque la nostra non è una tattica per strappare qualche decimale in più di flessibilità: noi rispetteremo le regole. E come le stesse regole prevedono, scomputeremo dal patto gli eventi eccezionali, legati al piano di prevenzione post terremoto “Casa Italia” e all’immigrazione che l’Europa non riesce a gestire. Dunque nessuna trattativa sulla legge di Stabilità italiana, che per il terzo anno consecutivo vedrà scendere le tasse. Sono altri che dovranno giustificarsi per il mancato rispetto delle regole».

Non è ovviamente vero che la legge di bilancio italiana è pronta. Ma soprattutto: non è vero che le regole prevedono che i piani di prevenzione del territorio come Casa Italia possano essere scomputati dal patto degli eventi eccezionali. Bruxelles aveva già precisato il contrario un paio di giorni dopo il terremoto segnalando come i fondi per gestire l’emergenza fossero già sul tavolo e a disposizione dell’Italia, ma ricordando anche che il piano Casa Italia (che prevede due miliardi per il rischio sismico, due per il rischio idrogeologico e quattro per le scuole) non fa parte dell’emergenza. Qualche settimana fa Renzi rispose che «quello che ci serve per il terremoto lo prendiamo, punto» in un’intervista al TG1. Oggi al Corriere dice che la “prevenzione post-terremoto” (bell’ossimoro) sarà scomputata dal patto. Il che, intendiamoci, è un’ottima notizia. Che però nessuno all’Unione Europea ha ancora dato. 

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Il piano Casa Italia (Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2016)

Le regole violate dagli altri

Il governo Renzi ha intenzione di chiedere alla Commissione Europea un margine maggiore di flessibilità rispetto a quello concordato. Il rapporto tra deficit e PIL dovrebbe salire al 2,4% “liberando” (dando cioè la possibilità di spendere) dieci miliardi di euro in più nella prossima Legge di Stabilità. L’Europa ha già concesso all’Italia circa 6,5 miliardi di flessibilità per il 2017. Roma avrebbe potuto ridurre il deficit dal 2,4% del 2016 all’1,8%, rispetto all’1,4% previsto. Anche nell’ultima piazzata di Renzi sull’austerità si parlava proprio di questo obiettivo. E qui veniamo alla seconda risposta interessante di Renzi nell’intervista rilasciata al Corriere:

Altri chi? A chi si riferisce?
«La Spagna ha un deficit doppio del nostro. La Francia non rispetta nemmeno Maastricht con il deficit ancora sopra il 3%. La Germania viola la regola del surplus commerciale: dovrebbe essere al 6% e invece sfiora il 9%. Nessuno chiede ai tedeschi di esportare di meno, ma hanno l’obbligo di investire di più e stiamo parlando di decine di miliardi che aiuterebbero l’intera eurozona. Ho fatto notare questa contraddizione in modo privato prima e pubblico poi. Io non sto zitto per quieto vivere. Con me il giochino “L’Italia pensi a fare le riforme” non funziona più. Noi le riforme le abbiamo fatte, le regole sono rispettate, gli impegni sull’immigrazione ci costano in termini di consenso ma sono doverosi. E dunque ho il dovere di dire che le regole valgono per tutti. Se qualcuno vuole far tacere l’Italia ha sbagliato indirizzo, metodo e sostanza».

Il premier torna a far notare che in Europa ci sono “cattivi” più “cattivi” di noi. Rispondendo anche a chi, semplicisticamente, replicava sul surplus commerciale della Germania che non si poteva pretendere che le imprese esportassero di meno facendo notare che i tedeschi avrebbero potuto aumentare salari e welfare per ottenere lo stesso risultato (cosa che in Germania è stata in parte fatta). Sembra però dimenticare che non saranno gli “e allora gli altri?” a fargli ottenere ciò che vuole, visto che è dalla nascita dell’UE che c’è chi le regole le rispetta e chi (anche la Germania) le aggira o le vìola. Invece di parlare, parlare, parlare, il premier dovrebbe semplicemente fare la stessa cosa. La scelta d’altro canto è tra la rinuncia alle promesse o lo sforamento del deficit. Visti gli effetti rovinosi della prima opzione per il destino del suo governo – e con un referendum da affrontare – ci dovrebbero essere pochi dubbi su cosa fare.
 

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