L'ultima piazzata di Renzi sull'Austerità

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-09-17

Ieri il premier è tornato a lamentarsi a microfoni aperti e spenti: «Io faccio il buono solo se mi danno ciò che mi serve, non faccio figuracce per colpa loro». Ma lo stop and go ripetuto non è più credibile. Perché non c’è più tempo da perdere

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Ieri a Bratislava il presidente del Consiglio Matteo Renzi è tornato sul fronte della “dissidenza” nei confronti dell’Unione Europea: in una conferenza stampa in solitaria ha fatto sapere che non c’è accordo in UE su immigrazione ed economia, come in effetti si era intuito già da qualche tempo. Come suo costume dopo la discussione aperta con i giornalisti di conferenza stampa ne è cominciata un’altra, informale, in cui i toni si sono fatti ancora meno diplomatici. Ma la sostanza (o per meglio dire l’inconsistenza) è rimasta la stessa.

L’ultima piazzata di Renzi sull’Austerità

«Io faccio il buono solo se mi danno ciò che mi serve, non faccio figuracce per colpa loro», ha detto a microfoni spenti. Alberto D’Argenio su Repubblica oggi spiega che Renzi che vuole bloccare il deficit 2017 tra il 2,3 e il 2,4%, al livello di quello di quest’anno senza quella porzione di risanamento che lo avrebbe dovuto far calare fino all’1,8%. In ballo ci sono una decina di miliardi.

Inizialmente Juncker pensava di costringere l’Ecofin, il tavolo dei ministri delle Finanze, a rimangiarsi il dogma secondo il quale la flessibilità per riforme e investimenti può essere concessa solo una volta (l’Italia ne ha già beneficiato nel 2016). Impresa saltata visto che Brexit ha indebolito Juncker, i governi sono bloccati dalle faide tra Est-Ovest e Nord-Sud e la linea è di non cambiare regole fino alle elezioni tedesche. Così si cercano soluzione tecniche alternative. Si ipotizza di giustificare l’allentamento delle regole grazie a una circostanza eccezionale dovuta al rallentamento dell’economia globale. E poi una tranche di flessibilità sarà giustificata dal terremoto. Certamente dalle spese per gestire l’emergenza. Ma Renzi spinge ancora perché venga preso in considerazione anche Casa Italia, il suo programma di riammodernamento del Paese. Tanto che a Bratislava ha ribadito: «Tutto ciò che serve per rimettere a posto l’edilizia scolastica dopo il terremoto va liberato dalle grinfie delle regole di stabilità».

In più sul piatto rimane il problema descritto ieri dalla Stampa:

La regola dell’«output gap» indica la crescita che un Paese si stima sia in grado di realizzare in un certo momento tenendo conto dell’andamento dell’economia. Il calcolo di quel potenziale può determinare risultati molto diversi di cosiddetto saldo strutturale: sulla base dei criteri Ocse e del Fondo monetario l’Italia l’anno scorso era ad un livello ben al di sopra delle richieste (+0,5 per cento), mentre per la Commissione risultammo otto decimali sotto. Insomma, applicando un metodo diverso il governo avrebbe potuto impostare una manovra molto meno restrittiva di quella che probabilmente sarà costretta a varare.

Ovvero quel parametro su cui quasi due anni fa Padoan diede lezioni di economia all’Europa. Sul quale però oggi nessuno sembra disposto a cedere.

I rischi e le opportunità

Ma Renzi sembra essere tornato di nuovo solo in questa guerra a onta della firma della Carta di Atene. Di certo i tedeschi che rosicano sono scomparsi anche dalla narrativa “nascosta” del premier, quella dedicata ai retroscena regalati agli amici. Eppure il premier dovrebbe aver capito che le politiche di austerità hanno avuto effetti devastanti sul PIL potenziale e sulla disoccupazione. Lo mostra uno studio di Laurence Ball che mette in relazione l’entità della depressione con la deviazione del PIL potenziale dal suo trend.
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Questo esito però non è irreversibile secondo lo stesso autore. L’isteresi può essere combattuta e può anche funzionare al contrario: gli investimenti pubblici possono aumentare lo stock di capitale, inserire più lavoratori nel mercato e aumentare la produttività rispetto allo scenario opposto in cui proprio la carenza di domanda riduce la capacità delle imprese d innovare. È tempo che Renzi la smetta con le chiacchiere ed agisca. Invece di lamentarsi a microfoni aperti o spenti.

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