Tanti miliardi per nulla

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-09-28

Il governo vorrebbe portare la manovra fino a 25 miliardi, che però non bastano per finanziare tutte le misure promesse in questi giorni di campagna elettorale: dalla flessibilità dell’età di pensione, al rinnovo contrattuale del pubblico impiego, al sostegno alle fasce più deboli della popolazione, a Casa Italia, fino ai nuovi incentivi per le imprese. Quando si accorgerà il premier che la battaglia è più importante di uno zero virgola?

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Ieri sera il Consiglio dei ministri ha varato la Nota di aggiornamento al DEF (Documento di programmazione economica finanziaria), che definisce i contorni della legge di Bilancio. Gli occhi erano puntati su un unico parametro: quello dell’aumento del deficit, che dovrebbe essere intorno al 2,4 del PIL, il prodotto interno lordo. Ovvero il premier ha ottenuto quella flessibilità che chiedeva (in misura molto minore rispetto al necessario). Ma i risultati sono comunque sconfortanti. Il documento entrato in consiglio dei ministri e preparato dal ministero dell’Economia ipotizza una manovra per il 2017 di 20-22 miliardi di euro, in gran parte (15 miliardi) assorbita dalla sterilizzazione dell’aumento dell’Iva, che altrimenti scatterebbe a partire dal primo gennaio dando il colpo di grazia a una ripresa già troppo timida. Lo stop all’aumento dell’Iva, insieme al taglio dell’Ires già previsto dall’anno scorso, è a questo punto l’unica certezza della manovra.

Tanti miliardi per nulla

Il governo vorrebbe portare la manovra fino a 25 miliardi, che però non bastano per finanziare tutte le misure promesse in questi giorni di campagna elettorale per il referendum sulle riforme costituzionali: dalla flessibilità dell’età di pensione, al rinnovo contrattuale del pubblico impiego, al sostegno alle fasce più deboli della popolazione, a Casa Italia, fino ai nuovi incentivi per le imprese. Ovviamente tre miliardi in più saranno sufficienti soltanto per mantenere una di queste promesse. La battaglia di Renzi, è necessario sottolinearlo, è giusta:

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, punta ad espungere dal computo del bilancio tutti i costi relativi sia al flusso migratorio che alla ricostruzione dopo il sisma in Italia centrale. Sulla carta, secondo il governo, sono 7,5 miliardi, 3,5 per l’immigrazione e 4 per il terremoto. Per la Commissione Ue parecchi di meno. Per i migranti Bruxelles, stando alle indiscrezioni, sarebbe disposta a riconoscere come eccezionale, e dunque non considerarla tra le spese, solo la spesa eccedente quella del 2016 che sarà di circa 3,2 miliardi. Secondo questa logica potrebbero essere sterilizzati dal deficit appena 300 milioni, meno di un decimo di quello che chiede l’Italia.
Quanto al terremoto a Bruxelles nessuno fa questioni, quello che si spende per l’emergenza sarà fuori da deficit. Ma non di meno ci sono dubbi sulla cifra indicata dal premier: 4 miliardi sono impossibili da spendere in un solo anno, e agli occhi dei tecnici Ue la somma andrebbe ben oltre il costo dell’emergenza. Arrivando a coprire anche quelli della ricostruzione che non è affatto scontato si possano sterilizzare dal disavanzo pubblico. (Mario Sensini, Corriere della Sera, 28 settembre 2016)

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DEF, il quadro aggiornato (Il Sole 24 Ore, 28 settembre 2016)

Il punto è però che, tolti gli interventi straordinari e le clausole, nella manovra rimane poco o nulla. Carlo Calenda qualche tempo fa era tornato a promettere un piano di rilancio degli investimenti. Si riferiva evidentemente soltanto a quelli privati. Ma proprio questo non si capisce: perché impegnare 13 miliardi per favorire gli investimenti privati di un paese che non cresce, di una nazione in cui le banche non prestano soldi alle imprese a causa di problemi di patrimonializzazione e dove la produttività rimane bassa?

Spendere i soldi per acquisire consenso

Invece dalle parti della presidenza del Consiglio si sono scelte altre priorità. Si è deciso di spendere soldi per l’IMU, per gli 80 euro, per gli incentivi all’occupazione allo scopo di lanciare il Jobs Act. Misure che, dati alla mano, non hanno avuto grande impatto sul prodotto interno lordo e su una crescita provocata dal QE.  “Noi abbiamo avuto un periodo in Italia – ha ricordato Renzi proprio oggi- in cui si è pensato che assecondare gli obiettivi di austerity comportasse una riduzione degli investimenti. È stato un tragico errore di cui paghiamo il conto ora. Non lo addosso solo a quelli di prima. Io facevo il sindaco ma messi di fronte al bivio se tirare la coperta di qua o di là veniva naturale mantenere gli asili nidi e rimandare i lavori per i marciapiedi. È stato un errore: ma è stato un errore l’austerity, non la nostra scelta”. Se poi in un biennio “si sono dimezzati gli investimenti da 40 a 20 miliardi, è ovvio che ci sia poi un calo del Pil”. Per questo, ha rivendicato Renzi, “abbiamo sbloccato 18 miliardi per le infrastrutture. È questo il tema”. Dopo aver speso per anni soldi per acquisire consenso Renzi parrebbe quindi essersi accorto di dove sia il problema. Intanto però la battaglia con Bruxelles serve ad acquisire qualche spicciolo in più e non quanto servirebbe, mentre il piano Juncker, a cui solo Renzi mostra di credere ancora, rimane lì, come bersaglio per polemiche ma senza nulla di concreto dietro. Quando si accorgerà il premier che la battaglia è più importante di uno zero virgola?

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