Quer pasticciaccio brutto dei licenziamenti dei dipendenti pubblici nel Jobs Act

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-12-28

Le norme che modificano l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori si applicano o no ai lavoratori del pubblico impiego? Pietro Ichino è convinto di sì, i ministri della Funzione Pubblica e del Lavoro dicono di no. Chi ha ragione? [Spoiler: boh]

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Ma alla fine i dipendenti pubblici rientrano o no nel Jobs Act? E vale anche per loro la possibilità di licenziare nel contratto, oltre che per i lavoratori privati? Pietro Ichino, che si autonomina padre putativo di ogni legge che porti flessibilità nel mercato del lavoro dal tempo della cancellazione della schiavitù, è convinto di sì. Ma i ministri Raffaele Poletti e Marianna Madia, che ricoprono le cariche di responsabile del Lavoro e della Funzione Pubblica, dicono invece di no. Chi ha ragione?
 
LICENZIAMENTI PER I DIPENDENTI PUBBLICI NEL JOBS ACT?
Procediamo con ordine. Ichino fa un ragionamento giuridico che va seguito fino in fondo, e che il senatore di Scelta Civica ha spiegato nel suo blog: alla vigilia dell’esame del testo sarebbe stato cancellato un comma che escludeva espressamente il pubblico impiego dall’applicazione delle nuove regole, che dunque ora non risulta vietata. D’altra parte, fa notare Ichino, la legge del 2001 che disciplina il pubblico impiego lo equipara al lavoro privato salvo che per quel che riguarda assunzioni (per le quali serve di regola il concorso) e promozioni. A suo avviso applicarele tutele crescenti al pubblico impiego avrebbe anche l’effetto di facilitare l’assorbimento dei precari. Ecco la spiegazione giuridica della proposta di Ichino:

Prima di chiudere sulla definizione del campo di applicazione, merita un breve commento un terzo comma, che ha fatto parte di questo primo articolo in bozza all’incirca fino alla mezzanotte fra il 23 e il 24 dicembre, per esserne poi espunto in extremis. Esso sostanzialmente escludeva l’impiego pubblico dall’applicazione della disciplina contenuta nel nuovo decreto, con ciò sostanzialmente riproducendo quella alterità tra disciplina del lavoro alle dipendenze di enti pubblici e disciplina del lavoro alle dipendenze di privati, che il Testo Unico contenuto nel d.lgs. n. 165/2001 aveva superato (tranne che per assunzioni e promozioni, per le quali nel settore pubblico vige il principio costituzionale del concorso). Soppresso per fortuna quell’inopportunissimo terzo comma, resta dunque in vigore la disposizione contenuta nell’articolo 2, comma 2, del Testo Unico del 2001, in virtù della quale dal momento dell’entrata in vigore del decreto tutte le nuove assunzioni a tempo indeterminato alle dipendenze dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, o di altri enti pubblici, daranno vita a rapporti “a tutele crescenti”, assoggettati alla disciplina dei licenziamenti contenuta negli articoli 2 e seguenti di questo decreto. Questo semplificherà notevolmente il problema dell’assorbimento dei precari nelle amministrazioni pubbliche, perché verrà meno la remora all’assunzione a tempo indeterminato costituita dall’inamovibilità pressoché totale determinata fin qui dal combinato disposto dell’articolo 18 e delle regole sulla responsabilità erariale del dirigente, nel caso in cui il licenziamento da lui disposto venisse annullato dal giudice con reintegrazione del lavoratore e risarcimento del danno in suo favore.

E qui, sul suo blog, la ricostruzione minuto per minuto è molto divertente:

23 dicembre, h. 19.02 – L’ultima bozza del decreto sfornata dai tecnici ministeriali contiene un terzo comma dell’articolo 1 che recita testualmente così: “La disciplina di cui al presente decreto legislativo non si applica ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165″.
h. 19.47 – Invio ad almeno una dozzina di esponenti del Governo e della maggioranza che si stanno occupando della redazione del decreto un messaggio nel quale, insieme a diverse altre osservazioni sulla bozza, scrivo: “Articolo 1, comma 3: è semplicemente assurda l’esclusione dei nuovi assunti nelle amministrazioni pubbliche dalla nuova disciplina che stiamo emanando.Tredici anni fa, nel Testo Unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001, c.d. riforma Bassanini) si è stabilito che, escluse assunzioni e promozioni, per ogni altro aspetto – salve eccezioni rispondenti a esigenze particolari – il rapporto di pubblico impiego deve essere assoggettato alle stesse regole del rapporto di lavoro privato; ora, con questo comma, derogheremmo a questo principio importantissimo, proprio nel momento in cui compiamo un passaggio fondamentale che potrebbe altrimenti costituire di per sé una riforma quasi più importante nel settore pubblico rispetto a quello privato. In questo modo, non soltanto perderemmo un’occasione d’oro per cambiare faccia al settore pubblico, ma torneremmo indietro rispetto al principio affermato nel 2001, sancendo l’intoccabilità dei pubblici dipendenti. Questo comma deve essere semplicemente soppresso!”
24 dicembre, fra l’una e le quattro – Il Consiglio dei Ministri approva un testo del decreto nel quale il comma 3 dell’articolo 1 non c’è più. Alla seduta partecipano anche Giuliano Poletti e Marianna Madia, rispettivamente ministri del Lavoro e della Funzione pubblica. E non risulta che su questo punto si siano espressi in senso contrario.

Insomma, messa così sembrerebbe aver ragione Ichino. Ma il ministro del Lavoro Poletti e il responsabile della PA Madia dicono invece che i dipendenti pubblici, semplicemente, erano esclusi fin dall’inizio: per questo le regole non li riguardano, mentre potrebbe occuparsi di un’eventuale armonizzazione il disegno di legge delega sulla Pubblica Amministrazione. Ovvero, detto in maniera più esplicita, l’estensione del Jobs Act ai dipendenti pubblici è un affare del ministro Madia.

JOBS ACT ARTICOLO 18
Come cambia l’articolo 18 (infografica del Sole 24 Ore, 19 novembre 2014)

IL BARBATRUCCO DI MATTEUCCIO
L’argomento di Ichino però non lascia insensibile quella parte di maggioranza che ha già dovuto ingoiare diversi rospi come quella sul regime dei minimi per le Partite Iva: e infatti è proprio Enrico Zanetti a definire «sconcertante» la presa di posizione dei colleghi, aggiungendo che «certi distinguo non rappresentano giuste rassicurazioni per il pubblico impiego, bensì ingiuste discriminazioni per i dipendenti del settore privato». Anche Maurizio Sacconi, reduce dalla scoppola sull’opting out, dà man forte da NCD ai colleghi di Scelta Civica, mentre Filippo Taddei, responsabile economico Pd, fa invece notare che il senatore di Scelta Civica non fa parte né della presidenza del Consiglio né del ministero del Lavoro, sedi nelle quali è stato messo a punto il testo. Il Messaggero, in un articolo a firma di Luca Cifoni, riporta però oggi un dettaglio interessante: «Il tema potrebbe essere ripreso nel corso dell’esame parlamentare del decreto, in vista della sua approvazione definitiva da parte del governo, se non altro in direzione di una maggiore chiarezza. Una parte del Pd chiede invece che siano riviste le norme sui licenziamenti collettivi, ritenute troppo punitive per i lavoratori: ma è estremamente improbabile che il presidente del Consiglio accetti passi indietro su questo». Qui infatti c’è la parte più importante del discorso, ben nascosta tra le sue pieghe. Nel consiglio dei ministri della vigilia di Natale tutte le norme vennero approvate in via provvisoria e salvo intese, in omaggio all’accelerazione propagandistica imposta dal premier per dare buone notizie prima delle Feste. Tanto è vero che nessuno ad oggi cita il testo definitivo. L’intervista al responsabile economico del PD Filippo Taddei però chiarisce molto meglio quello che potrebbe succedere: «Dal punto di vista tecnico tutto è possibile, ma quello che conta è la volontà politica. E l’intenzione del governo è che le nuove regole non valgano per i dipendenti pubblici. Se è necessario, lo chiariremo nei prossimi passaggi del provvedimento», dice. E poi continua: «Le riforme – dice – non si fanno con i blitz. Se si vogliono applicare queste norme anche a loro bisognerà avviare un processo di confronto e coinvolgere anche il ministro competente, Marianna Madia. Vale la volontà politica che e’ quella di trattare la materia in un altro provvedimento, la delega sulla Pubblica amministrazione. In ogni caso, il decreto ora passa alle Camere per i pareri e poi torna in Consiglio dei ministri. Piccoli aggiustamenti sono possibili». E il Renzi cosa ne pensa? «Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino. Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere», dice in una intervista a Qn parlando del Jobs act e della licenziabilità degli statali. «A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere». Insomma, mentre Taddei si riferisce al passaggio dei decreti sul Jobs Act, Renzi rimanda tutto a quelli sulla Pubblica Amministrazione che arriveranno, dice, a febbraio in parlamento. Il problema è risolto nel solito modo italiano: rimandandolo.

Jobs Act, le infografiche


 
 

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