Jobs Act: l'inutile regalo di Natale di Renzi ai lavoratori

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-12-24

Varati i decreti attuativi della legge che introduce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. No all’opting out per rischio di eccesso di delega. Vediamo cosa ci guadagna e cosa ci perde con il provvedimento il mercato del lavoro italiano

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Nel decreto attuativo del Jobs act sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti non ci c’è l’opting out, cioè la possibilità di un super-indennizzo per il lavoratore licenziato ingiustificatamente al posto del reintegro e lo scarso rendimento. A quanto si apprende, durante la riunione a palazzo Chigi ci sarebbe stato un braccio di ferro con i ministri del Nuovo Centro Destra e il resto del governo. Arriva, invece, la nuova disciplina sui licenziamenti collettivi mentre per i licenziamenti disciplinari la tutela reale dovrebbe rimanere per i soli casi di insussistenza del fatto materiale. Da segnalare che Maurizio Sacconi ieri aveva minacciato la caduta del governo “per crollo credibilità” se l’esecutivo non avesse approvato le norme sull’opting out. Promesse da politico: sono quelle che si trovano un gradino più in basso rispetto a quelle da marinaio.


Lo stesso Renzi durante la conferenza stampa che «abbiamo deciso di non intervenire sull’opting out, sarebbe stato un eccesso di delega». «L’Italia entra in una fase di straordinaria di cambiamento e di straordinaria apertura», ha poi aggiunto. E poi:  ai licenziamenti collettivi “è esteso lo stesso regime” dei licenziamenti individuali, non è previsto il licenziamento per scarso rendimento, l’indennizzo per il lavoratore che viene licenziato sarà di «due mensilità per ogni anno di servizio, non inferiore a quattro mensilità e non superiore a 24». «C’è un momento in cui un leader, o presunto tale, si assume responsabilità. Mi assumo la responsabilità delle scelte finali», ha concluso Renzi.
 
COS’È IL JOBS ACT E COSA CI GUADAGNA IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
Cosa ci guadagna il mercato del lavoro con il Jobs Act? Dal punto di vista della flessibilità ben poco. Il nostro paese è da tempo uno dei più flessibili. Già nel 2008, all’inizio della recessione e ben prima della riforma Fornero, l’indice di protezione del lavoro (Employment Protection Legislation) calcolato dall’OCSE per i contratti a tempo indeterminato vedeva l’Italia in fondo alla classifica.

Protezione del lavoro - Flessibilità
Ancora più evidente è la riduzione dell’indice EPL per i lavoratori a tempo determinato. Qui l’Italia ha un vero record: è il paese che ha abbattuto più di tutti le protezioni.
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Il governo poi ha dimenticato il salario minimo. A settembre il governo si era detto pronto a introdurlo, ma alla fine ha cambiato idea. Poi c’è il problema del disincentivo alla mobilità che consegue dall’applicazione della riforma dell’articolo 18 così come è stata pensata dal governo Renzi.

Per i lavoratori che mantengono un contratto a tempo indeterminato continuerà a valere il vecchio articolo 18. Questo rischia di generare una nuova divisione del mercato del lavoro, con effetti che potrebbero cancellare i benefici della riforma. La legge delega approvata dalla Camera stabilisce che i decreti delegati (che Matteo Renzi ha già pronti) delimitino chiaramente le possibilità di reintegro nel caso di licenziamenti per motivi disciplinari, l’aspetto più controverso della legge. Nella sostanza, tranne in casi estremi, i licenziamenti per motivi disciplinari non saranno appellabili, così come quelli adottati per motivi economici.

.D’ora in avanti, cioè per i nuovi contratti, l’articolo 18 viene in sostanza abolito:

Il fatto che l’abolizione riguardi solo i nuovi contratti crea due problemi. Innanzitutto, come si comporteranno i giudici di fronte a licenziamenti decisi da un datore di lavoro che vuole semplicemente sostituire un dipendente coperto dall’articolo 18 con un nuovo contratto privo di quella protezione? Ma il rischio maggiore è il blocco della mobilità. Come ha osservato Marco Leonardi, uno degli studiosi più attenti del nostro mercato del lavoro, è improbabile che un lavoratore oggi tutelato dall’articolo 18 decida di spostarsi, firmando un nuovo contratto che invece non lo prevede. Alcunilo faranno perché non temono il licenziamento, ma altrettanti non ne vorranno sapere.

A CHI CONVIENE IL JOBS ACT?
Il servizio delle politiche territoriali della UIL ha calcolato che gli sgravi su contributi e Irap sono molto più alti dell’indennizzo che si vuol dare a chi è espulso (una mensilità e mezza), e quindi il rischio è che gli imprenditori siano incentivati ad assumere e licenziare di fatto aggirando l’effetto di stabilizzazione che il provvedimento del governo voleva incentivare. Spiega Repubblica:

Cosa ci guadagna un’impresa ad assumere e licenziarenel giro di pochi mesi? Ora comeora, solo grane giudiziarie. E il rischio di reintegrare e risarcireil lavoratore, se così decide il giudice. Dal primo gennaio, belle cifre. Per uno stipendio medio (22 mila euro lordiannui), dai 5 ai 16 mila euro, a seconda se si licenzia dopo uno o tre anni. Ma si può arrivare anchea 6.600 euro dopo appena dodici mesi. È l’effetto matematico e paradossale degli sconti su Irap e contributi previdenziali inseriti nella legge di Stabilità, da una parte. E degli indennizzi previsti dal Jobs Act per il nuovo contratto a tutele crescenti, dall’altra.

Spiega il quotidiano che oggi gli incentivi sono assai cospicui, mentre l’esborso dovuto in caso di licenziamento illegittimo – orache l’articolo 18 di fatto non esiste più – è davvero risibile:

Una mensilità e mezzo per anno lavorato,secondo l’ipotesi più accreditata(ma le associazioni imprenditoriali puntano a meno). Così, visto che il lavoro oramai ha un prezzo, al datoreconviene davvero il contrattonuovo. Più che le tutele, a cresceresarà solo il suo conto inbanca.Si dirà, è un’ipotesi di scuola.Se prendo un lavoratore e lotengo tre anni, perché licenziarlo?Per lo stesso motivo per cui ora i contratti a termine durano pochi mesi. Porte girevoli. La crisi è tutta qui. Lo sconto Irap (deducibilità del costo del lavoro) è permanente. Quello sui contributi previdenziali peri neoassunti (con un tetto a 8.060 euro annuo) vale fino al 2017. Entrambi non hanno vincoli. Né alla stabilizzazione del lavoratore, né a creare posti aggiuntivi. Tanto meno prevedono riserve, ad esempio ad aziende meritevoli che investono in ricerca o che non hanno licenziato nel recente passato (la sinistra dem diceva di voler inserire paletti alla Camera, non è stato fatto). Dunque perché rinunciareai soldi pubblici dati atutti, se poi licenziando anchein modo illegittimo si deve sborsare appena una mensilità e mezza per anno lavorato?

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In definitiva, come abbiamo già scritto, il Jobs Act non è un grande affare: non aumenta né l’occupazione, né la produttività, né ci aiuta a superare il nanismo delle imprese italiane. In termini di PIL anche la riforma dell’articolo 18 varrà quindi zero. Se vogliamo tornare a crescere, le riforme di cui abbiamo bisogno non hanno nulla a che vedere con il mercato del lavoro che è già fin troppo flessibile. Semmai bisognerebbe stringere qualche bullone. Ma soprattutto servirebbero gli investimenti che mancano ormai da decenni nel nostro paese e che non arriveranno neppure dall’Europa.
Foto di copertina da Repubblica

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