Spesa pubblica delle mie brame, chi è il più bello del reame?

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-09-05

Cosa succede quando litigano un bocconiano e un renziano? Yoram Gutgeld e Roberto Perotti se le danno via Corriere della Sera. Il livello del dibattito è molto basso e viziato dalla propaganda politica. Ma soprattutto sembra dare l’impressione che sia in atto un’orgia di spesa pubblica alla faccia degli italiani. Vediamo come stanno davvero le cose

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Cosa succede quando si accapigliano un bocconiano e un renziano? Oggi Yoram Gutgeld, consigliere economico di Matteo Renzi, ha preso in mano carta, penna e calamaio per replicare all’intervista di Perotti. Il fatto che abbia deciso di farlo per punti ci aiuta a capire cosa sta sostenendo il professor Gutgeld e se davvero la sua replica a Perotti è cogente. Cominciamo dal primo punto:

1. Alla domanda di Fubini «Il deficit sta aumentando?» manca la risposta chiara e Perotti parla di un aumento dell’1% sul Pil. Cerchiamo di essere chiari: nel 2013 e 2014 il deficit era al 3%, nel 2015 con Renzi passa al 2,6%, nel 2016 siamo al 2,4%. Non è necessario essere professori per vedere che il deficit sta diminuendo. Possiamo poi aggiungere che è al livello più basso degli ultimi dieci anni. E questo era un impegno di Renzi e Padoan.

Perotti contro Gutgeld, Gutgeld contro Perotti

Era stato davvero poco chiaro Perotti sul PIL? La risposta è no. Perotti aveva invece fornito un giudizio di politica economica: «La decisione di farlo salire di circa l’1% del Pil rispetto agli impegni presi poteva avere un senso, dopo la recessione. Sarebbe stato importante invece rispettare gli impegni sulla spesa, per poter ridurre le tasse magari più di quanto si riduceva quest’ultima. Perché per tagliare le tasse in maniera permanente bisogna anche ridurre le uscite. Annunciare sgravi è facilissimo, tagliare la spesa pubblica è maledettamente difficile. Non ci si riesce in tre mesi». Ecco quindi il primo punto: Gutgeld e Perotti parlano di cose diverse. O, ad essere precisi, alla domanda “Che ora è?” la risposta di Gutgeld è “Venerdì“.

2. La riduzione di spesa pubblica alle Regioni e agli enti territoriali rischia di veder crescere la pressione fiscale locale. Spiace che il prof. Perotti non abbia avuto il tempo di leggere la legge di Stabilità 2016 che esplicita chiaramente che nessun ente territoriale può alzare le tasse. Non è una valutazione personale: è una legge del Paese, che come tale viene rispettata.

Ora, che basti una legge per non far succedere una cosa è una tesi molto interessante, che Gutgeld potrebbe esporre ai parenti delle vittime di omicidio. Ma a parte le facezie, non ci sono ancora, purtroppo, dati del 2016 sulla pressione fiscale locale. Uno studio della UIL che risale al marzo scorso diceva che nel 2015 si è registrata la pressione fiscale locale più alta dall’inizio del secolo: «I pochi tagli non sono sufficienti a far ripartire il motore dell’economia locale. E soprattutto sono spesso pagati dagli enti locali che poi si rifanno sugli italiani. Che nel 2015 hanno pagato 49 miliardi di tasse locali, ben sette in più di quanto versavano nel 2013. Fa un 16,7% in più, negli anni dei governi Letta e Renzi, anni in cui la crescita del Pil è stata praticamente nulla». Per il 2016 testeremo l’efficacia della legge che Gutgeld ha citato. Peccato, se davvero dovesse funzionare, non averla fatta prima.

3. Il prof. Perotti sostiene che con la riforma Madia tutti gli stipendi dei dirigenti saranno aumentati, ignorando che uno dei cardini della riforma dice esattamente l’opposto: cala la parte di posizione e cresce la componente legata al risultato, alla performance. Si può discutere nel merito della riforma Madia, ma ciò che teme Perotti è il contrario di quello che è stato scritto nel testo.

Cosa aveva detto Perotti? Rispondendo alla domanda sui passi avanti della riforma Madia, il bocconiano spiegava «A livello economico non mi risulta. Anzi, a mio avviso si rischiano passi indietro. Con l’abolizione delle fasce retributive dirigenziali ci sarà un’omogeneizzazione delle retribuzioni, inevitabilmente verso l’alto. Quando mai la si è fatta al ribasso? Io aumento il tuo stipendio, tu aumenti il mio. Un dato non molto noto: i dirigenti pubblici italiani a tutti i livelli, ma soprattutto apicali, sono già molto ben pagati. Per esempio più che nel Regno Unito. A livello ministeriale, locale e della giustizia. Ma non mi risulta sia stato fatto niente». Perotti si riferisce al totale della retribuzione e segnala che le “valutazioni” e le “autovalutazioni” potrebbero stimolare a un aumento. Perotti sostiene che cala la parte di posizione e cresce quella legata al risultato: così è tecnicamente possibile che il totale che finisce in tasca sia aumentato. Ma se Gutgeld dice di no, sarà uomo d’onore.

4. Sui risparmi della riforma costituzionale è interessante conoscere le valutazioni del prof. Perotti. Se egli non vuole considerare le province — la cui conferma in Costituzione porterebbe ovviamente a una revisione della Legge Delrio visto che tale legge è stata espressamente prevista come transizione in attesa della riforma costituzionale — è interessante conoscere quanto venga prezzata da Perotti la riduzione dei 315 stipendi dei senatori, dei rimborsi ai gruppi in Senato, della spesa per il personale del Senato, e dello stipendio dei consiglieri regionali; così come la cancellazione dei rimborsi ai gruppi regionali, l’eliminazione degli enti inutili come il Cnel, e il risparmio del funzionamento della macchina statale e regionale. Noi stimiamo questo risparmio totale in oltre 500 milioni di euro, comprensivo delle province. Il prof. Perotti quanto valuta questo indubitabile risparmio?

Anche qui la risposta di Perotti diceva altro: «Voto sì, abolire il bicameralismo è importante. Ma non è vero che così si taglieranno 500 milioni di costi della politica come dicono, perché in quella cifra sono inclusi i 350 delle provincie che erano già state abolite. Purtroppo questo governo ha fatto pochissimo sui costi della politica, e ora cerca di recuperare distorcendo i contenuti del referendum». Mentre sulla valutazione dei risparmi del referendum c’è maretta.

5. Il prof. Perotti confonde i cinepanettoni sussidiati nel passato con un sistema diverso di finanziamento del cinema che esiste in tutti i principali Paesi del mondo e che è il Tax credit, una delle forme più efficaci di sostegno ai territori. Perché la ricaduta diretta e indiretta di film che vengono girati sul territorio ha visto crescere intere filiere industriali in altre zone del mondo. Verrebbe da provocare in risposta alla polemica di Perotti: forse un disoccupato del Sud può trovare più facilmente lavoro se quel territorio, anziché fare promozioni turistiche con le regioni in giro per il mondo, crea infrastrutture per il turismo anche alla luce del ritorno di visibilità che possono dare i film di tutto il mondo. Altro che cinepanettoni: quello era il passato che noi abbiamo cancellato.

Qui Gutgeld ha invece ragione: le frasi di Perotti nell’intervista paiono più che altro demagogiche come i cinepanettoni.

6. I dirigenti pubblici percepivano fino a 301 mila euro quando Renzi è diventato presidente del Consiglio. Nel giro di un mese il limite è stato abbassato a 240 mila. È corretto dire che i costi sono stati ridotti o è giusto negarlo come sembra fare il prof. Perotti?

yoram gutgeld roberto perotti
Yoram Gutgeld e Roberto Perotti

La Rai, la rava e la fava

Gutgeld nell’occasione deve aver dimenticato cosa è successo qualche settimana fa: il governo e la maggioranza del PD hanno fatto partire una fintissima polemica sulla RAI, sostenendo di non sapere perché gli stipendi non rispettassero quel tetto. Il motivo c’era: una norma interna per adeguare gli stipendi dei manager e dei dirigenti RAI al tetto dei manager pubblici venne fatta dall’ex direttore generale Luigi Gubitosi nel giugno 2015. C’era questa necessità perché le norme volute dal governo Renzi non andavano a toccare gli stipendi di Viale Mazzini se non per la parte che riguardava il presidente e i consiglieri d’amministrazione. Senza quell’adeguamento voluto da Gubitosi le norme del governo non avrebbero mai toccato gli stipendi RAI. E c’è di più. Perché quando la legge venne prolungata dal perimetro delle società a partecipazione pubblica sottoposte agli obblighi erano uscite le società quotate e le società che emettevano obbligazioni (ovvero, chiedevano prestiti) sul mercato. Dovendo competere sul mercato era giusto che scegliessero i manager migliori eventualmente pagandoli di più senza vincoli, era il ragionamento. Questo escluse dal computo all’epoca Eni, Enel, Finmeccanica e le Ferrovie dello Stato. Ma non la Rai. A questo punto – sorpresa sorpresa! – la Rai nel maggio 2015 avviò il collocamento di un bond da 350 milioni, peraltro ampiamente preparato nei mesi precedenti. A questo punto anche la Radiotelevisione Italiana rientrò nel novero delle aziende che sono escluse da qualsiasi effetto del cambio di legge. Pur trovandosi in una situazione oggettivamente diversa da quella dei suoi concorrenti, visto che percepisce un canone. Questa è la realtà dei compensi ai dirigenti pubblici. Raccontarne solo una parte ed evitare di affrontare anche solo lontanamente il resto equivale a trasformare la realtà in ciò che ci piace. Sui punti 7, 8 e 9 Gutgeld sembra avere invece più ragioni che torti. Sul punto 10 si può invece tornare a discutere:

10. La Rai. Il canone costava ai cittadini che lo pagavano 113 euro nel 2015. Il canone è diminuito nel 2016 a 100 euro. E continuerà a diminuire nel 2017. A noi sembra un evidente passo in avanti per i cittadini. Grazie a questo governo la Rai costa ai cittadini meno del passato e continuerà a costare meno. O anche questo è «altamente ingannevole» come dice il professor Perotti? A proposito di informazione completa, il Professore Perotti cita la Bbc come un esempio di efficienza. Lo sarà senz’altro, ma non sarebbe stato opportuno anche ricordare che il canone che paga ogni famiglia britannica per finanziare la Bbc è di 200 euro l’anno (dato 2015), e che le risorse complessive del canone Bbc ammontano a oltre 5 miliardi di euro, più di tre volte rispetto alla Rai?

Vale la pena segnalare che Perotti aveva detto tutt’altro: «La Rai ha troppi soldi. Se si compara alla Bbc, il costo medio del lavoro per unità di valore aggiunto è molto più alto. Sono molto pagati i dirigenti. L’Italia si vanta di essere un Paese egualitario, ma nel settore pubblico viene remunerato molto bene chi sta in alto e male chi sta in basso, in confronto con gli altri Paesi. Una maestra o un insegnante guadagnano sotto le medie europee, già un dirigente scolastico guadagna più che in Gran Bretagna. Bene: la Rai incorpora questi problemi, più il fatto che rispetto alla Bbc ha un bilancio enormemente più alto per ore di produzione. Tra i 1.600 giornalisti ha ben 600 dirigenti, una percentuale pazzesca». Come vedete il discorso su quanto pagano di canone i cittadini non c’entra niente. Perotti sta segnalando che il costo medio del lavoro è molto più alto nella RAI rispetto che alla BBC: cosa c’entri quanto si paghi di canone (senza pubblicità) è un mistero che solo Gutgeld potrebbe spiegarci. Il problema che Perotti segnala è tutto in questa tabella e lo stesso professore l’ha spiegato in più occasioni:
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In più c’è anche da notare che sui 200 euro della BBC c’è discussione. La replica di Gutgeld non c’entra nulla con l’analisi di Perotti; sarebbe bene che il professore, invece di prendere carta e penna e rispondere a cose che nessuno ha mai detto si dedicasse a studiarla.

La vera storia della spesa pubblica

In ultimo però bisognerebbe se non altro evitare che in tutto questo chiacchiericcio il lettore abbia l’impressione che in Italia ci sia in atto una festa a carico della spesa pubblica. Che invece, esclusi gli interessi da pagare sul debito, ha avuto negli ultimi anni questo andamento (calcolato a partire dal 2010).

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La spesa pubblica

In Italia, è bene ricordarlo, a parte tre modeste riduzioni (post crisi del 1992, nel 2000 e nel 2007), la spesa pubblica è sempre cresciuta. Dopo il 2009, e nel pieno della più grande crisi dal 1929, l’Italia è riuscita a ridurre la spesa in modo considerevole, portandola indietro quasi ai livelli del 2005. Qui, si badi bene, non parliamo di spesa in percentuale sul PIL, ma di quanto effettivamente il settore pubblico immette nell’economia. E la spesa pubblica primaria o “di scopo”, con esclusione cioè degli interessi sul debito, è stata costantemente più bassa della media europea, pur in presenza di un rapporto tra debito e Prodotto interno lordo più elevato. Come scrivevano Riccardo Realfonzo e Stefano Perri sul Sole 24 Ore del giugno 2013, «il problema del debito pubblico italiano non deriva da un “eccesso” di spesa statale. Per questo, concentrarsi sul modo in cui tagliare la spesa pubblica al fine di abbattere il disavanzo e il debito pubblico rischia di lasciare pericolosamente nell’ombra le cause di fondo dei problemi italiani, che riposano nelle distorsioni del meccanismo delle entrate, nella scarsa competitività del nostro apparato produttivo, nell’insufficienza della domanda aggregata».
Foto copertina da qui

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