Roberto Perotti vi spiega perché le riforme di Renzi hanno fallito

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-09-04

Il professore della Bocconi in una lunga intervista al Corriere: «Ero andato a Palazzo Chigi, chiamato, per ridurre la spesa pubblica. Poi però mi sono reso conto che si era deciso di non farlo seriamente»

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Roberto Perotti era stato chiamato da Matteo Renzi a Palazzo Chigi per ridurre la spesa pubblica, nell’operazione di Spending Review che finora ha fatto cadere più teste di economisti che altro. Dopo qualche mese, come altri, se n’è andato sbattendo la porta perché evidentemente non soddisfatto dei frutti del suo lavoro. Oggi in un’intervista a Federico Fubini pubblicata sul Corriere della Sera Perotti spiega qualcosa di più sul suo addio e sulla spesa pubblica italiana:

«Ero andato a Palazzo Chigi, chiamato, per ridurre la spesa pubblica. Poi però mi sono reso conto che si era deciso di non farlo seriamente. Rispetto le valutazioni politiche, ma a quel punto a me non interessava più star lì. Era inutile».
Il governo fa notare che dal 2014 la spesa è già stata ridotta di 25 miliardi.
«Non è un’affermazione inesatta, ma altamente ingannevole. I capitoli che sono stati ridotti, lo sono stati per circa 25 miliardi. Nel frattempo altri sono stati aumentati in maniera equivalente, quindi la spesa non è scesa».
Pensa che almeno la qualità sia migliorata?
«Difficile migliorarla se non c’è un intervento pianificato bene dall’inizio. Si sono accumulate misure soprattutto nel campo del welfare, piccole e poco coordinate. Non c’è stato un disegno, che comunque non è mai facile. Proprio per questo andava pensato sugli anni che questo governo aveva a disposizione».

spesa pubblica italiana roberto perotti
La spesa pubblica dell’Italia e di altri paesi europei (Corriere della Sera, 3 settembre 2016)

Particolarmente severo il giudizio di Perotti su Rai e canone:

Sulla Rai lei ha lavorato molto. Che pensa della riforma?
«La Rai ha troppi soldi. Se si compara alla Bbc, il costo medio del lavoro per unità di valore aggiunto è molto più alto. Sono molto pagati i dirigenti. L’Italia si vanta di essere un Paese egualitario, ma nel settore pubblico viene remunerato molto bene chi sta in alto e male chi sta in basso, in confronto con gli altri Paesi. Una maestra o un insegnante guadagnano sotto le medie europee, già un dirigente scolastico guadagna più che in Gran Bretagna. Bene: la Rai incorpora questi problemi, più il fatto che rispetto alla Bbc ha un bilancio enormemente più alto per ore di produzione. Tra i 1.600 giornalisti ha ben 600 dirigenti, una percentuale pazzesca».
Pensava che la riforma affrontasse questi problemi?
«Sì. Invece è esclusivamente legalistico-formale: si precisa chi nomina chi. Però poi dal punto di visto dei costi non è cambiato niente, anzi le sono stati dati più soldi: il canone in bolletta ha aumentato enormemente le entrate dell’azienda».
Quella è una forma efficace di lotta all’evasione.
«Stiamo attenti, sulla retorica della lotta all’evasione. Se recuperi un miliardo e lo usi per ridurre le tasse su chi prima pagava tutto, benissimo. Ma se recuperi risorse e le usi per rimpinguare ancora di più la Rai e i suoi dirigenti, a che serve? Il canone in bolletta è l’esempio tipico: il prelievo è stato diminuito di soli dieci euro, in compenso alla Rai sono andate ancora più risorse, anche se è già la più finanziata fra le televisioni pubbliche».

L’intera intervista è disponibile sul quotidiano in edicola.

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