Perché Napolitano vuole fuggire dal disastro

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-11

Le dimissioni annunciate e la data che è una notizia: il Quirinale e le paure sulla legge elettorale e le riforme istituzionali. Mentre le urne si fanno sempre più vicine. E i conti pubblici peggiorano

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Giorgio Napolitano non conferma né smentisce la notizia data dai suoi quirinalisti preferiti, Stefano Folli e Marzio Breda, a proposito delle sue dimissioni. E in queste condizioni è chiaro che ogni non-smentita significa conferma. D’altro canto è lui stesso a ricordare nel suo messaggio che il suo messaggio era a tempo. E Re Giorgio deve aver capito che quel tempo è venuto. Il problema è però capire perché se ne sia ricordato proprio adesso, in concomitanza con il suo messaggio di fine anno (e questo è logico) ma anche nel momento in cui l’impasse sulla legge elettorale è palese e si comincia a sentire l’aria di nuove elezioni, come la Legge di Stabilità ha certificato con lo spostamento delle clausole di salvaguardia sull’IVA al 2016.
 
NAPOLITANO 2016: FUGA DAL DISASTRO
La lettura incrociata della situazione politica nell’ottica di Napolitano dà ragione al presidente della Repubblica. Perché se è vero come è vero che Napolitano aveva legato la sua permanenza alle riforme costituzionali e istituzionali da fare assolutamente dopo anni di chiacchiere, è anche vero che oggi quelle riforme sono in alto mare. Anche se Renzi parla di patto di governo entro il 2018 e di voto per l’Italicum entro l’anno, il presidente della Repubblica sa benissimo che la situazione è molto più complicata di quello che il premier sostiene. Trovare un accordo sulla legge elettorale è possibile soltanto se Berlusconi si piega, mentre cercare convergenze con altri partiti significherebbe dover ricominciare tutto da capo, compreso il percorso e l’iter delle leggi in Parlamento. Non esattamente il massimo per chi ha promesso di cambiare verso all’Italia in tempi brevi. Lo stesso discorso vale per le convergenze con i grillini e gli ex, che stanno tentando il Partito Democratico verso un cambio di maggioranza che porterebbe a un sostegno risicato per il governo al Senato. Le prove tecniche di nuova maggioranza, insomma, porterebbero naturalmente ulteriore stabilità che il Quirinale non si sente di poter gestire. Stesso discorso per la cancellazione del Senato, sì impostata dal Parlamento ma ancora in alto mare. Il bicameralismo perfetto insomma è ancora lì, a dispetto degli annunci di Renzi.
 
IL PROBLEMA DELLA LEGGE ELETTORALE
C’è poi un problema di tempi sulla legge elettorale. L’Italicum richiede dopo l’approvazione un periodo di due mesi per il ridisegno dei collegi che dovrebbe effettuare il governo, secondo quanto approvato finora. Quindi anche un’approvazione in tempi brevi della legge elettorale dovrebbe impiegare del tempo prima di portare il paese alle urne. Ma questo problema si risolverebbe facilmente andando a votare con il Consultellum, ovvero la legge elettorale “emendata” dalla Corte Costituzionale delle sue parti incostituzionali. Teoricamente la via delle urne a marzo sarebbe impervia ma non impraticabile. Per questo Napolitano vuole evitare assolutamente che Renzi decida di praticarla: se c’è da eleggere il presidente della Repubblica, nessuno può sciogliere le camere (o soltanto una di esse, recita il dettato costituzionale) per andare al voto. Il Quirinale non ha intenzione di doversi sorbire una nuova campagna elettorale dal Colle, e c’è da capire perché.
 
E I CONTI PUBBLICI?
C’è poi un altro elemento di criticità che spinge Napolitano fuori dal Quirinale, e lo enuclea oggi Davide Giacalone su Libero. Secondo lui il tema è quello dei conti che non tornano.

Tutta la legge di stabilità poggia sul presupposto che il 2015 veda crescere il prodotto interno lordo italiano dello 0,6%. Ad oggi non se ne vedono i presupposti. L’Ocse stima lo 0.2, ovvero un terzo. Moody’s ci vede inchiodati fra -0.5 e+ 0.5. Il nulla.In queste condizioni i conti sono sballati. Siccome lo sappiamo già ora, prima che la legge sia discussa in Parlamento, va corretta. E va fatto senza appoggiarsi retoricamente alla dannazione dei vincoli europei, perché così facendo si alimenta un mostro. Semmai è l’opposto:l’incapacità di tagliare la spesa pubblica porta a clausole di salvaguardia capaci di garantire la recessione per altri anni ancora, a cominciare dall’aumento dell’iva. Siccome chi governa preferisce discorrere di regali agli elettori e far finta che la pressione fiscale cali, mentre invece cresce,salvo poi far precipitare tutto con la sceneggiata nazarena, allora il Colle fa sapereche non reggerà il moccolo.

Insomma, secondo la tesi affascinante, Napolitano vorrebbe mollare soprattutto per lasciare la nave prima del disastro. Un retroscena che non fa molto onore al presidente, ma che potrebbe significare un “Not in my name” da parte dell’inquilino del Colle al disastro annunciato:

Agli italiani si fa credere che tutto questo sia un balletto di palazzo, anche grazie ai soliti retori perditempo che furoreggiano in politichese invocando concretezza e adesione alla realtà di cui sono privi. Ma questo non è un gioco di palazzo,semmai sui palazzi dove abitiamo, perché più tardi si farà la correzione dei conti più saranno solo nuove tasse, fino alla patrimoniale,tradizionalmente a predilezione abitativa. E se le elezioni si saranno fatte prima potrà cambiare solo l’indirizzo della rabbia collettiva. O dal governo si renderanno complici nel deviare la rabbia verso l’Ue, in un tripudio di follia e populismo stracciamutande.

Insomma, secondo Napolitano “l’ottimismo delle parole e il pessimismo della realtà” (come ha definito ieri la politica di Renzi Massimo D’Alema a Otto e Mezzo) sono destinati a collidere presto. E Napolitano non vuole rimanerci in mezzo.

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