Nutella e la guerra dell'olio di palma

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-10-28

Ad un anno dall’inchiesta (lacunosa) di Report sull’olio di palma la Ferrero ha organizzato un convegno per difendere la sua scelta di continuare a utilizzare quest’olio vegetale nella Nutella e in altri suoi prodotti. Perché l’olio di palma “fa male quanto il burro” e perché la produzione di olii vegetali alternativi è ancora meno eco sostenibile delle coltivazioni di palma da olio

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Mentre molte aziende alimentari si affannano a specificare che i loro prodotti sono senza olio di palma (alcune specificano anche “da sempre”) la Ferrero, produttrice della Nutella, va nella direzione opposta e in uno spot rivendica con orgoglio l’utilizzo di olio di palma “proveniente da coltivazioni sostenibili”. L’olio di palma, un prodotto molto usato nell’industria alimentare (ma non solo), era diventato famoso lo scorso anno dopo una delle tante inchieste alimentari di Report.

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La produzione mondiale di olio di palma (fonte: Corriere della Sera del 28/10/2016)

L’olio di palma, Nutella e la salute dei consumatori

Un po’ come è successo per molti dei temi toccati da Report anche sull’olio di palma si è scatenata una vera e propria guerra. Ma nell’inchiesta di Report c’erano diverse imprecisioni e omissioni. Ad esempio l’olio di palma veniva indicato come un ingrediente nocivo per la salute umana, più nocivo del burro ad esempio, a causa del suo contenuto di grassi saturi. Il punto però non è che non solo burro e olio di palma contengono pressapoco la stessa percentuale di grassi saturi (anzi nell’olio di palma è inferiore) ma anche che l’EFSA ha pubblicato uno studio che esamina il rischio per la salute umana dei contaminanti derivati dai processi di lavorazione dell’olio di palma (che pure sono nocivi). Dallo studio è emerso però che le quantità di olio di palma consumate in media da un singolo consumatore sono al di sotto della soglia di rischio. Infine c’è la questione, per altro già oggetto di un servizio di Report di tredici anni fa dal quale scaturì all’epoca una grande campagna informativa, riguardante i grassi idrogenati: l’olio di palma è già solido quindi non necessità di un procedimento di idrogenazione (con la conseguente produzione di acidi grassi trans). Il risultato è che in poco più di un anno grazie anche alla – scarsa – informazione fatta da Report si è scatenato il panico da olio di palma ed è partita una battaglia contro l’imputato eccellente di questo processo quasi esclusivamente mediatico: la Nutella. Tra le prime ad attaccare pubblicamente la crema spalmabile alle nocciole (ed olio di palma) c’è stata la ex candidata all’Eliseo Ségolène Royal che aveva invitato i consumatori a boicottare la Nutella (e che poi è stata costretta a scusarsi pubblicamente).

Ieri a Milano la Ferrero ha organizzato un convegno dal titolo «Olio di Palma: una scelta responsabile, basata sulla scienza» al quale è intervenuto anche il viceministro alle Politiche agricole Andrea Olivero (dal Fatto Quotidiano fanno notare malignamente che Olivero è “cuneese come la casa madre della Nutella“). Al convegno si è ovviamente difesa la scelta della Ferrero, che ha spiegato di utilizzare olio di palma mitigato e super mitigato che ha una presenza minore di contaminanti alimentari rispetto all’olio di palma, e si è parlato del fatto che l’olio di palma è un prodotto sicuro, e che gli allarmismi sulla salute (chiaramente rispetto ad un consumo moderato dei prodotti che lo contengono) dei consumatori sono in gran parte ingiustificati. Elena Fattore, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri di Milano ha spiegato che a oggi «non è stata confermata l’associazione, e quindi neanche una correlazione, tra l’assunzione di acidi grassi saturi e un maggior rischio di malattie cardiovascolari. La campagna denigratoria sull’olio di palma, basata sul fatto che quest’olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri oli vegetali, non ha alcun riscontro nell’evidenza scientifica». Naturalmente vale la regola del buon senso, ovvero evitare di consumare una quantità eccessiva di prodotti che contengono acidi grassi saturi, il che riguarda anche alimenti che non contengono olio di palma come carne e formaggi.

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Anche Chicco Testa scende in campo nella battaglia dell’olio di palma

L’olio di palma sostenibile esiste?

Ma la salute dei consumatori non è l’unico fronte caldo della battaglia contro l’olio di palma. L’altro aspetto cruciale della questione è la sostenibilità o meno della materia prima. Ferrero dichiara che il suo olio di palma proviene da fonti sostenibili, ma cosa significa in realtà? Sempre Report aveva posto l’attenzione sul fatto che nei paesi che sono i principali produttori di olio di palma (Indonesia e Malesia) si sta andando incontro a imponenti misure di deforestazione per far posto alle piantagioni di olio di palma in modo da far fronte alla crescente domanda mondiale. La questione non è di poco conto, ed in effetti è vero, per produrre olio di palma occorre dedicare porzioni di suolo alle piantagioni. Ma Report – e tutti coloro che si oppongono all’utilizzo di olio di palma nell’industria alimentare – dimenticano di riportare i dati per fare un confronto con altri oli vegetali. Ad esempio un ettaro coltivato a Elais Guineeensis, detta anche Palma da olio produce sette volte l’olio che produce un ettaro coltivato a girasoli. la giornalista del Sole 24 Ore Rita Fatiguso e l’economista José Gálvez nel loro libro L’olio giusto dove viene analizzata la domanda e la produzione di questo elemento cardine per la nostra alimentazione spiegano che un ettaro coltivato a soia dà 0,37 tonnellate di olio, uno coltivato a girasole dà 0,5 tonnellate, uno coltivato a colza ne dà 0,75 mentre un ettaro coltivato a palma da olio ne prdoduce 4,09. Per compensare i 64,5 milioni di tonnellate di olio di palma che si attende verranno prodotti tra il 2016 e il 2017 servirebbe quindi destinare ancora più terreno (e quindi consumare ancora più suolo) alla coltivazione di colture che producono oli vegetali “alternativi”. Il tutto senza tenere conto della situazione dei prezzi di mercato dei vari prodotti, l’olio di palma risulta essere il più economico in assoluto (siamo intorno ai sessanta centesimi di euro al litro), niente a che vedere con le soluzioni prospettate da Report che immaginava di poter sostituire l’olio di palma con l’olio d’oliva (più sano!11) che però ha il problema di essere più costoso e con una minore resa per ettaro (il che significa dover occupare più suolo per raggiungere le quote di produzione richieste).

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Le quote di mercato dell’olio di palma certificato (fonte: theguardian.com)

Esiste quindi l’olio di palma sostenibile? La risposta è sì, ma la produzione di olio proveniente da piantagioni certificate è decisamente insufficiente a coprire il totale della richiesta mondiale di olio di palma. Sono però le aziende produttrici a doversi impegnare – e Ferrero sostiene di farlo, in collaborazione con WWF e Greenpeace – per incentivare la messa a coltivazioni di palme da olio che provochino il minor danno possibile all’ecosistema. E il punto è proprio questo, l’impatto zero  non esiste: si tratta di una produzione industriale, sia che si tratti di colza o di soia in qualche modo sarà necessario utilizzare del terreno per le coltivazioni. Non ha senso chiedere di sostituire l’olio di palma con altri oli vegetali per il semplice fatto che questo non risolverebbe il problema del consumo di suolo e della deforestazione.
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Meglio chiedere l’utilizzo di olio di palma certificato , non sarà la soluzione ideale ma è il meglio che possiamo permetterci (fonte: wwf.org.au)

Nemmeno boicottare i prodotti della Ferrero (o delle altre aziende che fanno uso di olio di palma) potrebbe essere la soluzione come spiega questa scheda del WWF che invita invece a chiedere l’utilizzo di olio di palma proveniente da piantagioni certificate. E anche le richieste di Slow Food e Coldiretti, che invitano Ferrero a sostituire l’olio di palma con altri prodotti come ad esempio nocciole e burro non tengono conto delle conseguenze che potrebbe avere un maggiore aumento della richiesta di burro (per fare il burro servono vacche da latte, e alle vacche serve molta più acqua e terreno che alla palma da olio). Senza contare che queste materie prime sarebbero ancora più costose. I consumatori e gli ambientalisti si devono rendere conto di una cosa: non è possibile avere la Nutella (o qualsiasi altro prodotto che ora si fregia di essere “senza olio di palma”) e un ecosistema intatto. Qualsiasi forma di produzione industriale non potrà fare a meno di danneggiare l’ambiente, ma questo non significa che non si debba e non si possa lavorare per mitigare i danni all’ecosistema o che il problema non esista. In questo momento però quelli che nascondono la testa sotto la sabbia sono i consumatori “anti olio di palma” che credono che sia sufficiente abbandonare la produzione di questo olio vegetale per risolvere il problema.

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