Mohamed Amine Guebli: l'attacco al museo del Bardo non era opera dell'ISIS

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-03-26

La propaganda dello Stato Islamico conta sul terrore e sulla disinformazione per raggiungere i suoi scopi. La storia di Tunisi dovrebbe insegnarci a non cascarci più

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Il ministro degli Interni tunisino Mohamed Najem Gharsalli ha reso noto che 23 persone sono state arrestate in relazione alle indagini sull’attacco al Museo del Bardo di Tunisi, il 18 marzo scorso. Dalle evidenze delle indagini è però emerso un fatto importante: Gharsalli ha indicato che l’attacco contro il Museo del Bardo è stato compiuto da Al-Qaida e non dall’ISIS, che l’aveva rivendicato sia nell’immediatezza dei fatti che successivamente con un messaggio audio ripreso da Rita Katz su Site.
museo del bardo tunisi
L’ATTACCO AL MUSEO DEL BARDO NON ERA OPERA DELL’ISIS
Le 23 persone arrestate hanno legami con l’organizzazione terroristica Ansar Al Sharia e con il gruppo Okba Ibn Nafaa, diretto dall’algerino super ricercato Lokman Abou Sakher. Il gruppo del Bardo era formato da quattro sottogruppi incaricati dell’organizzazione, dell’esecuzione, del sostegno logistico e della preparazione della fuga dopo l’attentato. Con l’attacco, i terroristi miravano a distruggere l’economia del Paese. «Per fare propaganda, per farsi pubblicità, è lo Stato islamico che si è impadronito dei questo atto. Ma sul campo è stato Okba Ibn Nafaa, che appartiene ad Al-Qaida nel Maghreb islamico da aver organizzato l’attacco», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Interni, Mohamed Ali Aroui. Spiegava all’epoca Guido Olimpio sul Corriere:

C’è chi accusa Ansar al Sharia mentre un’ipotesi investigativa conduce a Obka bin Nafi, fazione legata ad Al Qaeda nella terra del Maghreb e che ha firmato molti attacchi partendo dai suoi rifugi sul Jebel Chambi,area di Kasserine, nell’ovest della Tunisia. Ha i mezzi, esperienza ed è determinata. In un messaggio sul web, l’emiro qaedista, Wennas Al-Faqeeh, ha annunciato un’offensiva in un Paese dove «si è diffusa la corruzione, la perdizione, la povertà». Però non è chiaro se abbia cercato di inserirsi nella storia o sia, invece, una rivendicazione indiretta.
Interessante che abbia usato la parola gazwat, un termine al plurale per ricordare le scorrerie sotto la guida del Profeta. Proclama seguito da informazioni sulla presenza ad Ariana di «uomini che hanno partecipato all’operazione benedetta». Toni che ricordano il progetto di prendere di mira i turisti italiani, piano elaborato da Ansar, movimento dove sono confluiti alcuni estremisti tunisini che hanno trascorso lunghi periodi di detenzione in Italia e hanno ritrovato spazio con la primavera araba. C’era qualcuno di loro nella squadra d’assalto? Non sarebbe una sorpresa.

A settembre, la polizia ha neutralizzato una colonna che voleva eliminare l ’ambasciatore Usa con un’esplosione. Sarebbe stato un attacco ad effetto, ma non come quello che hanno scatenato i kamikaze.


LA PROPAGANDA E LA REALTÀ
Importante è sottolineare che, stando alle parole del ministero tunisino, la motivazione dell’attacco al museo del Bardo era la stessa individuata nei giorni immediatamente successivi all’attentato: i terroristi volevano spaventare gli occidentali e colpire quella fetta di economia tunisina che si basa sul turismo dei paesi degli “infedeli”. Con ovvie motivazioni: il paese, dopo la Primavera tunisina, al voto aveva fatto vincere i laici contro gli islamici e la nuova costituzione, con tutti i suoi limiti, andava nella direzione di una laicizzazione della società tunisina. Ma l’ISIS ha utilizzato la strage al museo del Bardo per la propria propaganda: non è una sorpresa, si potrebbe dire a posteriori, visto che alcuni account appartenenti allo Stato Islamico hanno esultato anche per l’incidente dell’Airbus A320, senza che – ad ora – ci sia nessuna prova che l’atto c’entri qualcosa con il terrorismo. Il modus operandi della Tunisia è molto simile a quello che abbiamo visto all’opera in Europa. Cittadini francesi o danesi che hanno legami stretti con il mondo islamico e che a un certo punto decidono di attivarsi come cellula terroristica, forse addirittura all’insaputa di chi all’estero li ha seguiti o aiutati. Organizzano attentati semplici, dagli scarsi costi e senza nessuna particolare forma di organizzazione (non devono, insomma, imparare a portare un aereo come nell’11 settembre). Poi muoiono come “martiri” mentre arriva la rivendicazione dall’estero. Potenzialmente è impossibile prevederne le mosse e difendere gli obiettivi che potrebbero essere scelti. Un terrore insondabile. Ma proprio per questo l’Occidente deve aiutare paesi come la Tunisia, che hanno affrontato e stanno affrontando un lungo percorso di laicità e da quello devono essere aiutati a non deviare. Perché l’ipotesi alternativa, ovvero lasciare campo aperto all’estremismo, quella sì che rischierebbe di mettere ancora più in pericolo l’Occidente. La strategia dello Stato Islamico però è chiara: vogliono attribuirsi la paternità di ogni notizia di questo tipo per scatenare una rete di terrore e lasciar pensare di essere i più forti e capaci di tutto: una propaganda che funziona sia verso l’interno che verso l’esterno. Ed ecco perché i media dovrebbero anche smettere di cascarci.

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