Michele Adinolfi: chi è il generale della Guardia di Finanza al telefono con Renzi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-07-12

La P4, Why Not?, le inchieste sulla mafia in Lombardia: sempre prosciolto per le sue amicizie curiose, il generale oggi si definisce un “azzoppato” e dice che le inchieste hanno segnato la fine della sua carriera

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Dopo la pubblicazione sul Fatto Quotidiano delle sue telefonate con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, Michele Adinolfi è tornato agli onori delle cronache proprio qualche giorno dopo essere stato nominato numero due della Guardia di Finanza. Le telefonate tra Renzi e Adinolfi vertono su argomenti politici, e il generale della GDF, molto amico di Gianni Letta, si trova a dover ascoltare le “freddure” del premier sul suo predecessore all’epoca ancora a Palazzo Chigi, all’epoca definito incapace e poi proposto alla presidenza della Repubblica per toglierlo di torno. Oggi Adinolfi si difende in un’intervista a Repubblica, che ha pubblicato la telefonata tra lui e Renzi e altri particolari dell’inchiesta CPL Concordia e dell’informativa da cui sono tratte.
 
MICHELE ADINOLFI: CHI È IL GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA AL TELEFONO CON RENZI
“L’inchiesta P4 ha segnato la fine della mia carriera. È stato un dramma in cui sono rimasto stritolato da una guerra più grande di me e da cui sono uscito a testa alta. La storia di questi giorni, se non fosse per la sovraesposizione mediatica, è banale”. Renzi? “Mi ha detto di stare sereno”, “io lo sono davvero”, dice commentando le intercettazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano. “Vorrei ascoltare l’audio di quella intercettazione – dice Adinolfi – Perché sono convinto che quelle frasi, che sicuramente saranno state pronunciate, non siano mie. Io non conosco Giulio Napolitano e non avrei mai potuto permettermi di dire nulla del mio Presidente. Ho conosciuto Renzi e Lotti quando sono arrivato a Firenze nel 2011 come Comandante interregionale Toscana, Emilia, Marche – aggiunge – Erano i miei interlocutori istituzionali. E siamo diventati amici. Io sono un milanista malato come Lotti, di cui ho conosciuto la moglie e i genitori. E Renzi ci prendeva in giro dicendo che lui con noi non parlava di ‘calcio minore’. Renzi e Lotti erano il mio sindaco e il mio capo di gabinetto a Palazzo Vecchio. Non dovevo avere rapporti? Con chi avrei dovuto discutere per trovare spazi per una caserma della Finanza? È colpa mia se, nel 2014, il mio sindaco è diventato Presidente del Consiglio?”. “Io rispondo dei miei atti. Non delle mie amicizie, perché respingo il teorema che sarebbero indizio o prova di coperture. Se qualcuno è in grado di dimostrare che io sia venuto meno ai miei doveri di ufficio nei confronti dei politici con cui nel tempo ho avuto necessariamente rapporti, sono pronto a pagare duramente. Cosa avrei ottenuto da Renzi? O cosa avrebbero ottenuto Renzi e Lotti da me? A Firenze, per dirne una, non ho mai seguito né voluto sapere alcunché dell’inchiesta sulla casa di Marco Carrai abitata da Renzi. E, lo giuro sui miei figli, né Renzi né Lotti mi hanno mai parlato di Carrai. Quando poi, nel gennaio del 2014, mi lamentavo della proroga con sette mesi di anticipo di Capolupo a comandante generale, esprimendo una sorpresa che non era solo mia, per una decisione senza precedenti, non avevo nulla da chiedere. Rosicavo e basta. Nessuna trama”.
Cerimonia della campanella per il passaggio delle consegne a palazzo Chigi
LE INCHIESTE SU ADINOLFI
Eppure il nome del generale non compare raramente nelle cronache giudiziarie di questi ultimi tempi. Anche se l’esordio nelle cronache giudiziarie arrivò con il processo a Bruno Contrada: chiamato a testimoniare sull’ex SISDE, finì indagato per aver detto il falso davanti ai giudici ma alla fine non si arrivò mai a un processo. La procura di Milano lo indago qualche anno dopo come la gola profonda di un imprenditore in odore di mafia. Anche lì finì tutto archiviato. Poi arrivarono la Why Not di De Magistris e l’inchiesta P4: Marco Milanese, anche lui proveniente dalla GDF ed ex braccio destro chiacchierato del ministro Giulio Tremonti, disse in un’intercettazione che Adinolfi, tramite il suo amico e direttore dell’ADN Kronos Pippo Marra, aveva fatto sapere al faccendiere Luigi Bisignani di essere indagato: anche qui le indagini hanno consentito un’archiviazione rapida per la posizione del generale. Marco Lillo ha raccontato sul Fatto gli interrogatori dell’epoca:

A rileggerli oggi gli interrogatori dei pm Henry John Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli fanno pensare. In quell’occasione per la fuga di notizie erano indagati l’attuale comandante in seconda della Gdf, il generale Vito Bardi e appunto Adinolfi. Il primo avrebbe trasmesso la notizia dell’indagine su Bisignani per via gerarchica all’interno del suo Corpo e il secondo avrebbe avvertito Bisignani tramite Marra, in occasione della cena in cui sarebbe stato presente Milanese.
Sia Bardi che Adinolfi sono stati completamente prosciolti. Ora Bardi è di nuovo indagato per una vicenda per ora poco nitida. Ben più nette invece le accuse che hanno portato all’arresto di Spaziante a Venezia. Allora però interrogato sulla fuga di notizie a favore di Bisignani, Spaziante aveva descritto il suo integerrimo comportamento così: “per quanto mi riguarda posso dire che io non riferisco nel dettaglio delle indagini fatte da personale da me dipendente al Comando generale.
Posso comunicare l’oggetto delle indagini, ad esempio frodi comunitarie, fatture false, ma mai mi sognerei di dire quali telefoni sono sotto controllo, fossero anche i telefoni di un ministro, o quali sono i singoli soggetti coinvolti o i singoli atti di indagine”. E infatti, per i pm di Venezia, i telefoni sotto controllo e gli indagati , Spaziante li avrebbe rivelati agli indagati in cambio di soldi e non ai suoi superiori.

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