Michael Moore e le cinque ragioni per cui Donald Trump vincerà le elezioni

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-07-25

Il regista ci spiega che la vittoria del miliardario è cosa fatta riciclando le sue previsioni sbagliate di quattro anni fa. Vediamo quali sono e se reggono la prova della realtà

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Continua ad assottigliarsi il divario tra Hillary Clinton e Donald Trump. Secondo i sondaggi l”ex Segretario di Stato sarebbe staccata da Trump di poco meno di due punti percentuali. Significa forse che la rincorsa di Trump alla candidata democratica sta finalmente iniziando a dare i suoi frutti? La Clinton sente già il fiato sul collo del magnate dalla bionda – e fragile – criniera? Secondo Michael Moore è quasi certo che Trump alla fine verrà eletto Presidente, e quindi è meglio abituarci fin da ora all’idea.
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Il voto dell’America profonda è già per Trump?

Il regista americano è da sempre un anti-repubblicano convinto e si dichiara un sostenitore della Clinton. Secondo lui però la ex First Lady non ce la farà a vincere, perché nonostante tutti i ragionamenti, i fact checking e le analisi sui contenuti dell’inesistente piattaforma politica di Trump alla prova dei fatti l’America – un po’ come il Regno Unito che ha votato a favore della Brexit – ha voglia di essere “great again“. Lo vuole l’America profonda, il Midwest. In particolare secondo Moore ci sono quattro stati – tradizionalmente feudi Democratici – dove il candidato repubblicano potrebbe dilagare. Negli ultimi anni infatti Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin hanno eletto un governatore del Great Old Party. Ma l’unico stato di questi quattro “decisivi” dove Trump è in testa è la Pennsylvania negli altri tre la situazione è più favorevole alla Clinton. Stiamo in ogni caso parlando di differenze – nei sondaggi – di due punti percentuali, massimo tre. Insomma sicuramente la lotta nei quattro stati sarà dura per la candidata democratica ma non è ancora stata detta l’ultima parola. Trump lo vogliono i maschi bianchi “intimoriti” dall’idea di avere una donna come commander in chief, Nelle ultime elezioni però il voto delle donne ha decretato il successo di Obama su Mitt Romney che invece aveva vinto l’elettorato maschile. A quanto pare allora, contrariamente a quanto scrive Moore, il voto dei maschi bianchi, espressione di quel patriarcato che vuole conservare il potere non è così decisivo per essere eletti. Anche perché la Clinton avrà lo “svantaggio” agli occhi degli elettori repubblicani di essere una donna, ma è una donna ben inserita all’interno dell’establishment. Più che un voto contro una donna alla Casa Bianca potrebbe essere un voto contro quella che da noi alcuni chiamano “la casta”. Poco importa che Trump faccia a sua volta parte dei quel 1% proprio come la sua sfidante, l’elettorato lo percepisce come uno che lotta contro il sistema (che siano i media, l’organizzazione mondiale per il commercio o i politici a Washington).
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Trump l’intrattenitore

Ci sono poi, secondo Moore un paio di motivazioni psicologiche: la prima è che gli elettori che avrebbero votato per Sanders ovvero i giovani potrebbero non andare a votare per Hillary e starsene a casa (guarda caso anche qui il regista si fa tentare il paragone con il caso britannico). La seconda invece lascia il tempo che trova ed è quella che ha portato gli elettori del Minnesota a votare un ex wrestler come governatore (Jesse Ventura). Non certo un caso isolato nella storia americana visto che più di recente i californiani hanno eletto Arnold Schwarzenegger come Governatore mentre gli statunitensi negli anni Ottanta hanno avuto un Presidente (mediocre) attore: Ronald Reagan. E del resto Trump più che essere un imprenditore di successo (non lo è) è un vero talento dell’intrattenimento. Lo scrive Dave Eggers che è andato ad assistere ad un comizio di Trump in California. Eggers ha notato come il pubblico del comizio non fosse composto esclusivamente da quegli esaltati fascistoidi e ignoranti che secondo molti sono l’elettore-tipo di Trump. L’elettorato di Trump è molto più eterogeneo, e non è interessato a quello che dice (il muro con il Messico da 25 miliardi di dollari, l’uscita dal WTO) ma al come lo dice. Il pubblico dei comizi è affascinato dal personaggio, non dalle sue proposte o dalle sue idee politiche. Agli elettori piace sentire Trump dire che Hillary o il Presidente sono “stupidi” :

His supporters do not care. Nothing in Trump’s platform matters. There is no policy that matters. There is no promise that matters. There is no villain, no scapegoat, that matters. If, tomorrow, he said that Canadians, not Mexicans, were rapists and drug dealers, and the wall should be built on that border, no one would blink. His poll numbers would not waver. Because there are no positions and no statements that matter to them. There is only the man, the name, the brand, the personality they have seen on television.

Trump è uno che arriva con il suo aereo privato con la scritta Trump a caratteri cubitali, è uno che racconta un sacco di balle ma che lo fa riuscendo a divertire la folla. Purtroppo per Hilary e per Moore i suoi elettori non sono solo bianchi razzisti, sono molto meno beceri di quello che si potrebbe pensare. Perché quello che affascina l’elettorato è la capacità di Trump di intrattenere la folla. E le elezioni sono un grande spettacolo. In quest’ottica non importa nemmeno quanti confronti diretti in televisione Trump vincerà o perderà, perché se riuscirà a piazzare la battuta giusta al momento giusto, se riuscirà a continuare ad essere sopra le righe continuerà ad avere successo. Non bisogna fare l’errore, scrive Eggers, di pensare che l’elettorato di Trump sia stupido o fascista, perché in mezzo ci sono tante persone normali. Questo però Moore non lo rileva. Ma del resto mentre ci spiega che Trump vincerà per la serie di ragioni sopraelencate annuncia anche la pubblicazione di un pezzo dove spiegherà qual è il tallone d’Achille del candidato repubblicano e come fare per batterlo. Improvvisamente Trump non sembra così imbattibile.
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Del resto Moore fece una previsione simile anche per le presidenziali del 2012, usando sempre lo stesso argomento dei repubblicani “fanatici” che sono in grado di mobilitare meglio il proprio elettorato mentre i democratici se ne stanno a casa perché nessuno li porta alle urne. Nel 2012 Moore disse:

Who’s up at four in the morning, making sure that dozens, hundreds, thousands of people in their communities are getting out to vote. And the Republican machine that is set up and the money behind it to guarantee [what] is really the only important thing — turnout on that day — that’s what looks pretty scary here.

Oggi scrive:

And therein lies the problem for November – who is going to have the most motivated, most inspired voters show up to vote? You know the answer to this question. Who’s the candidate with the most rabid supporters? Whose crazed fans are going to be up at 5 AM on Election Day, kicking ass all day long, all the way until the last polling place has closed, making sure every Tom, Dick and Harry (and Bob and Joe and Billy Bob and Billy Joe and Billy Bob Joe) has cast his ballot?

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