L'anno sabbatico di Matteo Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-12-06

L’ex premier come Cincinnato, pronto a ritirarsi a vita privata per attendere il Bat-segnale. Anzi no: Matteo non vede l’ora di andare alle elezioni a febbraio senza cambiare la legge elettorale. Però Renzi è anche tentato da un viaggio in USA. Anzi no, vuole votare domattina

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Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. E così oggi il dimissionario presidente del Consiglio Matteo Renzi nei retroscena dei giornali italiani viene dipinto alternativamente come pronto a gettarsi di nuovo nella mischia il prima possibile con un voto a febbraio o come pronto ad andarsene per un anno sabbatico in America, come uno studente fuoricorso qualsiasi. Come è possibile? Misteri del retroscenismo, uno dei generi letterari più socialmente apprezzati dalla categoria dei giornalisti italiani, specialmente quando c’è penuria di notizie.

L’anno sabbatico di Matteo Renzi 

E allora ecco che sulla Stampa Francesco Bei ci spiega che Matteo vorrebbe tanto togliersi di torno: “Mollare – oltre la poltrona a palazzo Chigi anche quella da segretario del Pd – questo è il vero desiderio del premier. Il quale confida a Mattarella qual è adesso il suo sogno segreto: «Mi piacerebbe staccare per davvero, prendermi un sabbatico, magari un anno negli Stati Uniti, ma i miei amici del Pd non me lo permettono»“. In effetti, visto il carattere così schivo, timido e scarsamente pugnace del premier ce lo vediamo proprio a fare Cincinnato da lontano con il rischio che magari le cose vadano meglio senza di lui in sella e scarse chances di attribuirsene il merito.

Renzi lo ripete ai suoi dopo essersi congedato nel pomeriggio dai ministri con un brindisi a palazzo Chigi. «Il mio obiettivo è togliermi subito di qui. Sembra assurdo ma non riesco ad andarmene. Di solito i miei predecessori facevano le barricate per restare, io invece voglio togliermi di torno e non ce la faccio». La soluzione è il compromesso raggiunto con il Capo dello Stato, una soluzione a tempo. Costretto suo malgrado a restare in carica, in realtà Renzi si comporta come se già fosse uscito da quel portone.
E il primo segnale è stato quello di cancellare tutti gli appuntamenti previsti nei prossimi giorni, atteggiandosi di fatto a premier dimissionario. Ma tra l’intenzione e la realtà ci passa in mezzo il Parlamento e le procedure della sessione di Bilancio. Perché se è vero che Mattarella ha garantito di dare una mano, la verità è che nessuno può impedire al Senato di emendare in lungo e in largo la legge approvata da Montecitorio. E’ il bicameralismo perfetto, bellezza, e gli italiani in maggioranza hanno mostrato di averlo in gran conto.

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I voti per il sì a confronto con le elezioni europee (La Repubblica, 6 dicembre 2016)

Ma per non sapere né leggere né scrivere alla Stampa dopo aver adombrato l’anno sabbatico ci fanno sapere, in un articolo a firma di Fabio Martini, che è vero il contrario: Renzi invece non vede l’ora di riportare il partito e il paese alle elezioni per candidarsi alle elezioni politiche di febbraio.

Perché oramai il disegno di Renzi è tracciato ed è quello di arrivare come candidato premier alle prossime elezioni Politiche, da celebrare il prima possibile. Mission da conseguire con ogni possibile escamotage. Dimettendosi anche da segretario del Pd. Un gesto clamoroso e plateale. per rifarsi una “verginità” e presentarsi al momento “giusto” all’appuntamento delle Primarie. L’”opzione-Cincinnato” è stata illustrata ieri mattina da Renzi nel colloquio con il Capo dello Stato, che ha usato tutte le perifrasi possibili per dissuaderlo. Con successo, pare. Anche perché Renzi ha capito che uscire di scena e rientrarci potrebbe risultare troppo macchinoso. E d’altra parte una volta uscito da palazzo Chigi, per riconquistarsi la candidatura, per Renzi ci sarebbe una sola strada: vincere le Primarie del Pd. E per vincerle, può essere utile un accordo con l’ala “democristiana” del Pd.
Le truppe di quest’area sono controllate dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che ha cominciato a dire in queste ore che «se si dovesse fare un governo politico», si dovrebbe tener conto di chi ha un peso dentro il partito. Cioè lui medesimo. Ma Renzi sa che da Franceschini non potrà mai venire un impegno formale a dimettersi, una volta fatta la legge elettorale. Renzi ha un rapporto personale migliore col ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, più cattolico che ex democristiano, le cui quotazioni ieri sono molto salite ma che deve scontare l’ostilità sorda di Franceschini. Per la guida di un governo politico di breve durata corre il ministro Paolo Gentiloni, che avrebbe l’aplomb ma è troppo vicino a Renzi per poterla spuntare. Ecco perché, nel gioco dei veti contrapposti, potrebbero riprendere quota i candidati (ieri in caduta) ad un governo breve: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il presidente del Senato Pietro Grasso.

Matteo Renzi al voto a febbraio

Ma si sa, il retroscenismo non è una scienza esatta. Per questo invece Francesco Verderami sul Corriere lo dipinge come pronto ad andare «entro febbraio» al voto senza cambio di governo:

Sarebbe percorribile un percorso a tappe forzate che metterebbe in conto l’attesa per la sentenza della Consulta sull’Italicum e l’immediato ritorno alle urne? Di certo si tratterebbe di un blitz con cui coglierebbe di sorpresa avversari esterni e interni. È evidente che una simile operazione potrebbe riuscirgli solo restando a Palazzo Chigi. E Renzi, dopo le dimissioni, dovrà pur dare il nome di un suo sostituto quando salirà al Colle da leader del Pd.
Ma se il capo dello Stato dovesse registrare durante le consultazioni che non c’è una maggioranza sul sostituto di Renzi? Perché per formare un governo servono i voti centristi al Senato, a meno che Berlusconi non si spinga a fare ciò che dice di non voler fare, offrendo «per spirito di responsabilità» l’appoggio a un gabinetto che vari la legge elettorale. In quel caso il Pd, soprattutto la «ditta», sarebbe disposto a ingoiare (di nuovo) il Cavaliere? La seconda Repubblica è finita, la Prima non è ancora formalmente tornata. Ma i giochi che stanno per iniziare dimostrano che non è mai tramontata.

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Le due leggi elettorali in vigore (Corriere della Sera, 6 dicembre 2016)

Massimo Franco, molto più realisticamente, vede il premier pronto a piazzare Padoan al suo posto, mentre anche Maria Teresa Meli riporta una sua battuta sull’andarsene negli USA:

Nell’ottica renziana, un esecutivo dai confini circoscritti permetterebbe ad alcuni collaboratori di restare a Palazzo Chigi: ad esempio il sottosegretario Luca Lotti, in vista di una serie di nomine strategiche a primavera. Su questo sfondo, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sarebbe la soluzione naturale, anche per le garanzie che offrirebbe alla Ue: sebbene le opposizioni lo vedano solo come la continuazione del governo Renzi. La corsa verso le urne comincerà subito dopo, con il 2017 evocato come limite da non oltrepassare. Eppure nessuno è pronto a scommettere sulla data delle elezioni.

Infine, Repubblica con Goffredo De Marchis sposa la linea del premier pronto ad andare al voto politico «a gennaio-febbraio». Praticamente dopodomani. Ma come? Con l’Italicum alla Camera, dopo le correzioni della Corte costituzionale, e il proporzionale con sbarramento al Senato:

«Non lascio la bandiera delle elezioni anticipate a Grillo e agli altri. Se lo facciamo il Pd è morto, fa la fine che ha fatto dopo aver appoggiato il governo Monti», è il grido di battaglia di Renzi. Piano azzardato, ma che il braccio destro Lotti certifica con un tweet all’arrembaggio: «Abbiamo preso il 40 per cento nel 2012 e nel 2014. Ripartiamo dal 40 per cento preso domenica». Il piano è definito. Sarebbe Renzi a portare il Paese al voto da presidente del Consiglio dimissionario. Ma il Quirinale non accetterà mai un vuoto di potere lungo due mesi.
Allora, Renzi potrebbe addirittura non dimettersi più, rimanere in carica poche settimane per arrivare al traguardo dell’urna. Nessuna successione. No a governicchi, governi tecnici, men che meno un nuovo premier dem. Sono incompatibili con l’obiettivo inquadrato nel mirino: le urne. E i giochi nel Pd? Al suo partito, il segretario proporrà di trasformare il congresso in primarie per la premiership di centrosinistra, come quelle che incoronarono Romano Prodi nel 2005. Lui sarebbe in pista, ovviamente.

Guarda caso, è la stessa posizione dipinta ieri da Angelino Alfano in tv.

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