Le Islande degli altri

di Tommaso Giancarli

Pubblicato il 2016-06-28

Lord Nelson! Lord Beaverbrook! Clement Attlee! Sir Winston Churchill! Sir Anthony Eden! Henry Cooper! Lady Diana! Maggie Thatcher – can you hear me, Maggie Thatcher! Your boys took a hell of a beating! Your boys took a hell of a beating” (Bjørge Lillelien, telecronista della tivù norvegese, dopo Norvegia-Inghilterra 2-1, qualificazioni ai mondiali ’82). Forse …

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Lord Nelson! Lord Beaverbrook! Clement Attlee! Sir Winston Churchill! Sir Anthony Eden! Henry Cooper! Lady Diana! Maggie Thatcher – can you hear me, Maggie Thatcher!
Your boys took a hell of a beating! Your boys took a hell of a beating” (Bjørge Lillelien, telecronista della tivù norvegese, dopo Norvegia-Inghilterra 2-1, qualificazioni ai mondiali ’82).

Forse la sconfitta di ieri sera contro l’Islanda è stata la peggiore sconfitta di sempre per la nazionale inglese? Può darsi, ma andiamo ad analizzare un attimo le cose con la necessaria calma e con l’acribia dello studioso. Di sicuro la partita persa 2-1 contro la nazionale norvegese nel 1982 fu un grosso choc per gli inglesi, visto che gli atleti scandinavi erano per lo più dilettanti; ma quell’Inghilterra si qualificò comunque ai mondiali spagnoli, dove si batté con onore. Più grave fu il 2-0 del 1993 che aprì la strada per la storica mancata qualificazione a Usa ’94, che fu però ufficiale solo dopo la successiva sconfitta in Olanda. Anche la batosta per 4-1 subita nel 2005 dall’ambiziosa Inghilterra di Eriksson e Beckham in Danimarca fu una sorpresa; ma era pur sempre un’amichevole, e conta poco. Certo, se a questo aggiungiamo la sconfitta di ieri contro una nazione che “ha più vulcani che calciatori professionisti”, per citare Gary Lineker, possiamo concludere forse che l’Inghilterra soffre le nazionali nordiche. Sarà quello: i tabù esistono, sono difficilmente spiegabili, e forse non è colpa di nessuno.
inghilterra
Certo, se guardiamo indietro, dove tutto è cominciato, notiamo che la primissima figuraccia della nazionale inglese risale al 1950, quando i bianchi si degnarono finalmente di partecipare ai mondiali dopo averne snobbato tre edizioni, sentendosi superiori, da inventori del gioco, ai parvenu che se ne erano impossessati. E subito, appena arrivati in Brasile, Stanley Matthews e compagni furono rimandati a casa, sconfitti 1-0 dagli Stati Uniti in cui giocavano, tra gli altri, postini e conducenti di carri funebri. Quel trauma primigenio portò poi a un 2-0 in amichevole nel 1993 e a un 1-1 al Mondiale 2010; ma gli inglesi vanno capiti, coi traumi funziona così, e gli statunitensi sono il loro trauma, per un sacco di buone ragioni. D’altra parte anche il 6-3 beccato a Wembley dalla grande Ungheria, o il 7-1 dell’anno dopo a Budapest, sono sconfitte notevoli, così come il 4-0 buscato dalla Germania degli ottavi di finale del mondiale sudafricano. Ma che c’è di male nel perdere contro grandi potenze calcistiche centroeuropee? Non sono neanche disfatte nel senso proprio del termine.
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Forse il 2-2 con la Macedonia del 2002, durante le qualificazioni ai mondiali, o il 3-2 casalingo contro la Croazia che eliminò gli inglesi da Euro 2008, sono più gravi. Ma si sa come fanno gli ex jugoslavi: sono sparagnini e furbetti, e ti fregano sul più bello. Perciò non è una vergogna venirne giocati. In generale può darsi che siano le competizioni internazionali e i tornei estivi, giocati in mezzo al caldo e alla tensione, a dar fastidio alla nazionale inglese. Può essere anche questo; e non ci sarebbe nulla di male, anzi: è quasi bello che, in quest’epoca in cui tutto va a mille all’ora e tutti si sentono in dovere di giudicare, ci sia ancora qualcuno che proprio non se la sente di mostrarsi competitivo, e anzi se ne va dal colloquio, allentandosi la cravatta troppo stretta e forse sbattendo la porta.

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