Il grande ritorno del complotto della magistratura contro il povero governo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-04-01

La patetica litania della «giustizia ad orologeria» riparte con slancio nella storia della Guidi. Il complotto stavolta riguarda il referendum delle trivelle. Il procuratore nazionale antimafia fa però notare che le richieste di misura cautelare sono partite tra agosto e novembre 2015. Che ruolo avrà nel complotto?

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Sembra di essere tornati ai tempi del Cinghialone. L’inchiesta Tempa Rossa, che ieri ha portato alle dimissioni della ministra Federica Guidi, ha scatenato il grande ritorno del complotto della magistratura contro il povero governo innocente. A dare il la alla truppa dei complottisti, stretti parenti degli sciachimicari, è la coincidenza con il referendum sulle trivelle. Ma anche i retroscena sono gustosi, a cominciare da quello di Matteo Renzi. S


Il grande ritorno del complotto della magistratura

tavolta i virgolettati del premier made in Sensi, a differenza di altre occasioni, li ospita Repubblica (e soltanto Repubblica: Corriere e Stampa sono fuori dalla grazia del Signore?) in un articolo a firma di Goffredo De Marchis e Carmelo Lopapa. Nel primo ospitato dall’articolo si capisce che è Renzi ad aver chiesto le dimissioni della Guidi:

«Non puoi reggere», ha detto Matteo Renzi al telefono da Boston a Federica Guidi facendole capire subito qual era la linea che aveva scelto. Ovvero la linea dura, quella delle dimissioni, della «risposta immediata, senza perdere nemmeno un giorno», ha spiegato il premier ai collaboratori. «Perché è una posizione complicata da difendere, perché le opposizioni ci sono già saltate addosso».

Che poi rincara la dose: «Ho parlato con Federica — racconta Renzi — . È una persona perbene, ha capito, non ha fatto resistenza». Insomma, il frame del giorno è quello classico dell’«ira di Renzi» che tanto fa ridere in molte occasioni. E anche qui c’è tempo per la campagna elettorale:

«Dobbiamo anche dimostrare che non siamo come i grillini, quelli che hanno traccheggiato per un mese su Quarto».

Un peccato che il premier virgolettato non si renda conto che per dare l’esempio (ai grillini o a chiunque altro) sarebbe meglio evitare di avere ministri che si fanno beccare con il sorcio in bocca a confermare che un provvedimento del governo è un favore al fidanzato. In ogni caso è interessante che mentre in apertura del retroscena si dica che Renzi ha spinto la ministra a dimettersi, poi si riporti la reazione ufficiale dello stesso Renzi in cui lui parla di scelta personale della Guidi:

«Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni. Rispetto la tua scelta personale, sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido. Nel frattempo ti invio un grande abbraccio».

federica guidi dimissioni 1

…contro il povero governo

E ovviamente eccola, l’ipotesi di complotto: «Nelle dimissioni lampo della Guidi c’è un link anche con il referendum. Palazzo Chigi infatti non nasconde lo «stupore» per la coincidenza temporale dell’inchiesta che coinvolge pozzi petroliferi e della campagna referendaria sulle trivelle, con il governo schierato contro il quesito. A questo si aggiunge la preoccupazione per la chiusura dell’impianto che avrà ricadute sul lavoro dei quasi 4000 addetti». Francesco Verderami sul Corriere della Sera, che stranamente non ospita né virgolettati di Renzi né il solito articolo di Maria Teresa Meli, è invece immerso in pieno nella teoria:

Il ministro senza partito doveva dimettersi per evitare che un partito, il Pd, subisse ulteriori danni d’immagine: da Buzzi a Odevaine sono tutti soci sostenitori del Movimento 5 Stelle. E con l’approssimarsi delle Amministrative bastano i guai di Roma e di Napoli, di Torino e di Bologna. Mentre il premier dava il benservito alla Guidi dagli Stati Uniti, a Roma i democrat «tendenza Renzi» discutevano dell’inchiesta mettendo insieme i tasselli della vicenda — l’Eni, il referendum, il governo — e giungendo alle stesse conclusioni di chi li aveva preceduti anni orsono nella gestione di Palazzo Chigi. Percepivano insomma «uno strano e minaccioso ticchettio», che il procuratore nazionale Antimafia Roberti provvedeva pubblicamente a silenziare, parlando del lavoro dei magistrati di Potenza: «Questa non è giustizia a orologeria. Dispiace invece rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini». Altro petrolio per i sostenitori del referendum contro le trivelle. La testa della Guidi forse non basterà a Renzi per chiudere il pozzo dei suoi avversari. Che stanno anche nel suo partito.

E meno male che si cita la dichiarazione del procuratore nazionale antimafia, che fa a pezzi tutte le ipotesi di complotto:

– “Le indagini sulle attività estrattive in Basilicata sono iniziate nel 2013 e sono state complesse e delicate: le richieste di misura cautelare sono state presentate tra agosto e novembre del 2015. Quindi prima del referendum e in tempi non sospetti: non dobbiamo parlare di giustizia a orologeria”. “La Direzione nazionale antimafia – ha aggiunto Roberti – sostiene con forza questa indagine come tutte quelle che riguardano i reati ambientali. Oggi è riduttivo parlare di un reato di ecomafie perché qui non vi sono i tradizionali mafiosi con le coppole ma si tratta di criminalità organizzata su basi imprenditoriali”.

Speriamo che i poveracci che parlano di giustizia ad orologeria ci spieghino chiaramente che ruolo ha avuto in tutto ciò il procuratore nazionale antimafia quanto prima, allora. Per la serie “dichiarazioni imbarazzanti” invece non possiamo non segnalare la fantastica intervista di Francesco Maesano a Carlo Stagnaro, che dirigeva la segreteria tecnica della ministra Guidi e ha supervisionato, da vero liberale di stampo IBL, l’altrettanto imbarazzante percorso delle “liberalizzazioni alle vongole” firmate dal ministero della Guidi, che una persona seria come il viceministro all’Economia Enrico Zanetti definì giustamente “timide e un regalo alle lobby”.
federica guidi carlo stagnaro

Il contenuto riportato però appare inequivocabile. O non pensa che sia così?
«Non so che persona verrà dipinta da adesso in avanti ma le assicuro che parliamo di una donna di grande serietà».
D’accordo, ma il conflitto di interessi non è piuttosto evidente?
«Io so solo che raramente ho visto qualcuno che abbia tenuto il suo livello di attenzione e il suo livello di pulizia nel gestire i possibili conflitti di interesse che pure, lavorando allo sviluppo economico, sono frequenti».
A giudicare dall’intercettazione non sembrerebbe, non le pare?
«Si tratta di una cavolata. Non saprei definirla in un modo diverso. Una cavolata pura e semplice».
Lei dice? A seguito di quell’intercettazione sono arrivate le dimissioni di Guidi.
«Sì, lo dico perché potevano esserci almeno altre cento persone che avevano letto quell’emendamento e potevano averne parlato con chiunque. il fatto che lei ne abbia parlato con il suo compagno non dimostra nulla. Di certo non è la prova inconfutabile di un conflitto di interessi».

Insomma, telefonare al proprio compagno che ha un interesse in un subappalto pari a due milioni di euro su un emendamento del governo per confermargli che lo si sta riproponendo e quindi può stare tranquillo e chiamare “i suoi amici” della Total, per Stagnaro, è una cavolata e non una prova di conflitto. Ci vuole tanta pazienza.

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