Il clamoroso accordo tra Renzi e Padoan sulle pensioni

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-09-20

Il premier rilancia la flessibilità in uscita, il ministro dell’Economia gli ricorda i pericoli per l’equilibrio di finanza pubblica. Le tre opzioni allo studio

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Matteo Renzi rilancia sul Corriere della Sera la flessibilità sulle pensioni. Pier Carlo Padoan risponde su Repubblica che è un rischio toccare le pensioni. Il clamoroso accordo tra presidente del Consiglio e ministro dell’Economia va in scena oggi nelle prime pagine dei quotidiani, e sarà difficile stavolta farlo passare per un accordo. Sul Corriere della Sera Renzi “rilancia sulla flessibilità”, secondo un copione che va avanti da un paio di mesi.

«La questione dei pensionamenti è molto complessa. Non posso rispondere delle scelte del passato, alcune delle quali hanno provocato più costi che risparmi. Mi limito al presente: ho chiesto a Padoan e Poletti di individuare un meccanismo per consentire più flessibilità in uscita. Spero che riusciremo a trovare un primo rimedio già con la Stabilità». Così il presidente del consiglio su l’Unità, nella rubrica in cui risponde ai lettori.

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IL CLAMOROSO ACCORDO TRA RENZI E PADOAN SULLE PENSIONI
Si parla del tema della «flessibilità in uscita», cioè della possibilità di qualche meccanismo generale di correzione della Fornero che consenta un pensionamento anticipato prendendo meno, come aveva promesso lo stesso Renzi facendo l’esempio della lavoratrice che diventa nonna e vuole godersi il nipotino. Su questo però la resistenza del Tesoro è forte perché si tratterebbe di trovare coperture per alcuni miliardi l’anno modificando in peggio la curva della spesa per i prossimi decenni. Curva che, come sottolinea la nota di aggiornamento del Def, registra minori uscite per l’incredibile cifra di complessivi mille miliardi di euro (60 punti di Pil) fino al 2050, grazie alle riforme fatte dal 2004 in poi. La risposta di Padoan sulle pensioni a Repubblica invece lascia poco spazio alle discussioni:

Un capitolo importante riguarda le pensioni. Ci sono progetti che vorrebbero introdurre una flessibilità in uscita, e il premier Matteo Renzi spinge perché già nella legge di stabilità ci sia qualcosa che vada in questa direzione. Ma è una materia delicata, perché si tratta di accorciare l’età lavorativa in presenza di un aumento delle aspettative di vita della popolazione. È vero che lei frena?

«Intanto va detto che il sistema pensionistico italiano è uno dei più robusti in Europa. Non lo diciamo noi, ma la Commissione Ue, con una valutazione che viene aggiornata continuamente. È fondamentale non deragliare da un principio fondamentale: vanno legate le prestazioni pensionistiche alla durata del tempo di lavoro e alla aspettativa di vita. Detto questo non c’è nulla di male a esaminare possibili correttivi che riguardano individui che si trovano vicini alla pensione ma con una prospettiva occupazionale difficile. Ma va considerato naturalmente che questo ha un costo e l’equilibrio di finanza pubblica deve essere mantenuto».

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IL CALCOLO CONTRIBUTIVO DELLA PENSIONE
La soluzione senza costi per lo Stato – teoricamente – si chiama calcolo contributivo dell’intera pensione, spiega oggi Luca Cifoni sul Messaggero: «una possibilità che penalizza in modo rilevante il lavoratore (la decurtazione del trattamento previdenziale, che dipende dalla carriera del singolo, si aggira sul 15-20 per cento ma può arrivare fino al 30) ma in realtà pone comunque qualche problema finanziario al bilancio pubblico, almeno nell’immediato. Perché come ha fatto notare Padoan rispondendo al question time alla Camera, anche un modesto incremento dei pensionamenti porrebbe aumenterebbe la spesa rispetto a quella programmata, anche se poi le maggiori uscite verrebbero compensate nel corso del tempo».

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Così oggi in pensione (Il Messaggero, 20 settembre 2015)

Le possibilità allo studio sono ancora tre. C’è la possibilità di una settima salvaguardia per l’uscita anticipata rispetto alle regole attuali. Poi c’è il prestito pensionistico, discussa dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini all’epoca del governo Letta: coloro a cui mancano due o tre anni per maturare i requisiti potrebbero lasciare il lavoro contando su una sorta di anticipazione della pensione, da restituire poi parzialmente attingendo ai trattamenti futuri. Infine c’è l’opzione donna, ovvero la possibilità di andare in pensione a 57 per le donne ma con l’assegno calcolato con il sistema contributivo.

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