Gli scheletri nell'armadio di Matteo Salvini

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-08

La chiusura della Padania e il ritiro della costituzione di parte civile contro Belsito e compagnia. Casualmente, arrivata dopo le rivelazioni dell’ex cassiere sui fondi neri ai leader del Carroccio. E la vecchia storia di Franco Bossi all’europarlamento

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La ferale notizia arriva oggi: dal primo dicembre La Padania chiude per mancanza di fondi e tutti i suoi dipendenti finiscono in cassa integrazione. Il motivo è il taglio ai contributi pubblici all’editoria che ha già decretato la morte di Unità ed Europa (che il 15 novembre chiuderà anche il sito internet dopo aver interrotto la distribuzione in edicola). L’Editoriale Nord sbatte in cassa integrazione i suoi dipendenti esattamente come aveva fatto la Lega Nord il 28 ottobre  con i 70 lavoratori di via Bellerio. Eppure è un peccato, perché qualche soldo da recuperare dal finanziamento pubblico la Lega ce l’avrebbe ancora. Ad esempio chiedendo i danni a Francesco Belsito, l’ex tesoriere di The Family che è stato di recente graziato con la rinuncia alla costituzione di parte civile che ha ha salvato anche altri protagonisti dello scandalo dei rimborsi elettorali 2008-2009: Stefano Bonet e Paolo Scala, accusati di aver riciclato 5,7 milioni di euro della Lega.
 
LO SCHELETRO NELL’ARMADIO DI SALVINI
Domenico Aiello, avvocato della Lega Nord, ha annunciato che la decisione di Salvini è di natura politica. I motivi sono due, spiegava Salvini: il primo è che queste «sono cose che fanno parte del passato»; il secondo è che spiacerebbe al leader della Lega candidato a diventare il nuovo capo dell’intero centrodestra, «intasare i tribunali andando a chiedere quattrini che certa gente neppure ha: in ogni caso noi non possiamo spendere soldi e perdere tempo in cause che durano anni». Un terzo motivo può essere forse rintracciato nelle molte dichiarazioni rilasciate da Belsito a proposito di fondi neri nella Lega Nord.

L’ex cassiere parla di fondi neri, sottolineando che “il nero che gli imprenditori versavano venva utilizzato a volte per la campagna elettorale dagli esponenti politici e veniva gestito senza passare dalle casse del partito”. Ed è qui che viene tirato in ballo il segretario, eletto domenica scorsa alle primarie: “Ricordo che Bonini, in quota Lega alla Sea (Giuseppe Bonomi ex deputato leghista, ndr), diede in contanti 20 mila euro a Salvini. Salvini, per sanare i suoi obblighi verso la Lega, intendeva girare al partito questa somma, cosa che non mi risulta sia avvenuta”.

Succede infatti che il tesoriere leghista abbia cominciato un anno fa a vuotare il sacco con i magistrati, raccontando delle molte “leggerezze contabili” del Carroccio negli anni in cui lui è stato responsabile della cassa. Belsito nelle sue dichiarazioni ai magistrati coinvolse anche il governatore del Veneto, Luca Zaia:

In un interrogatorio del 13 maggio, l’ex tesoriere ricostruisce il pagamento di un milione di euro arrivato alla Lega del Veneto da parte di una multinazionale francese, la Siram, specializzata in appalti ospedalieri. Belsito avrebbe affermato che tutto lo stato maggiore del partito era informato di quel finanziamento. “Anche Zaia – è la tesi dell’ex cassiere del Carroccio – fu informato“. “La Lega Nord del Veneto – racconta Belsito – aveva chiesto un milione al finanziere Stefano Bonet (tramite con la società francese, ndr)”. L’ex cassiere sostiene che nel 2010 informò sia Bossi sia Calderoli “che tale Cavaliere aveva chiesto questi denari alla Siram”. E questi soldi sarebbero stati pagati con un bonifico a una società, “credo riconducibile a Cavaliere (ex presidente del Carroccio in consiglio regionale del Veneto, ndr). Belsito racconta di più: “Cavaliere trattava su incarico del sindaco di Verona Flavio Tosi”. “Da quello che ricordo – dice ai magistrati del capoluogo lombardo – la somma degli appalti di Bonet a Siram in Veneto era di circa 25 milioni in un triennio“.

Vignetta da: Meridionali per Salvini, Facebook
Vignetta da: Meridionali per Salvini, Facebook

Roberto Maroni ha ufficialmente reagito con perplessità alla storia della rinuncia alla comparsa civile. E si capisce il perché, visto che Belsito non aveva grandi rapporti con Maroni e a lui non rispondeva: ha eventualmente ben poco da temere da eventuali leaks. Diverso il discorso nei confronti del resto della Lega. Che non si è nemmeno attivata per riavere qualcosa nel processo nei confronti di Umberto Bossi e del figlio Renzo, presto a giudizio per appropriazione indebita.
 
SALVINI E BOSSI, UN VECCHIO LEGAME
D’altro canto che Salvini fosse legato a doppio filo al vertice della Lega Nord non è un mistero. Il Corriere della Sera giusto una decina d’anni fa raccontò uno dei più penosi casi di nepotismo ante litteram in cui furono coinvolti i seguaci del Carroccio. Sotto la lente c’era l’assunzione come assistenti parlamentari di Franco Bossi e Riccardo Bossi, rispettivamente fratello e primogenito del Senatùr. Particolare curiosità suscitò il caso di Franco, diplomato in terza media e poi dotato di un negozio di autoricambi a Fagnano Olona, ma piazzato a legiferare a Strasburgo «in aiuto» agli europarlamentari leghisti. E indovinate da chi fu assunto, il Franco? Già, proprio da Matteo Salvini.

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