Chi ha ragione tra Di Maio e la Boschi sul blocco dei fondi alle vittime della mafia

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-03-20

Il caso di Domenico Noviello è la pistola fumante dei 5 Stelle per “dimostrare” che il governo «sta bloccando i fondi alle vittime della mafia». Ma la storia è molto più complicata di così: ecco la risposta del sottosegretario Manzione sui rimborsi agli avvocati delle associazioni e sui “requisiti di affidabilità mancanti”. La denuncia di Maria Rosaria Noviello e i numeri della ministra Boschi

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È il caso di Domenico Noviello la “pistola fumante” che il MoVimento 5 Stelle porta per dimostrare che il governo sta bloccando i fondi alle vittime della mafia. «Le menzogne del governo hanno le gambe corte. Siamo abituati che Renzi e sodali mentano, ma speravamo almeno non sul fondo delle vittime delle mafia: mentire a chi ha sofferto e soffre ancora della violenza della criminalità organizzata è un oltraggio. Oggi possiamo leggere sul Il Mattino di Napoli la testimonianza della moglie dell’imprenditore ucciso Domenico Noviello che conferma come il suo risarcimento sia sospeso dal 2015. Questi sono i fatti, non facciamo polemica ma chiediamo giustizia», affermano i membri M5S della commissione Antimafia, tornando sulla vicenda del fondo per le vittime della mafia che ieri, con le parole di Luigi Di Maio, ha provocato la dura reazione del Pd e del governo. «Inoltre – proseguono i 5 Stelle – leggiamo l’appello del Comitato Don Peppe Diana che mette in luce come Augusto Di Meo che denunciò gli assassini di Don Peppe Diana, dopo 22 anni, non è stato riconosciuto come testimone di giustizia. Facciamo nostre queste istanze, perchè per noi la lotta alle mafie è stare al fianco dei cittadini coraggiosi, che non meritano la caciara di un Pd che è stato messo a nudo nella sua ipocrisia più profonda, cominciando dal distratto presidente della commissione Antimafia Bindi. Non si può aspettare l’audizione di Alfano per capire cosa sia successo, il fondo deve essere sbloccato immediatamente, senza indugi».

Chi ha ragione tra Di Maio e la Boschi sul blocco dei fondi alle vittime della mafia

Andiamo con ordine. Domenico Noviello è stato ucciso a Castel Volturno il 16 maggio del 2008. Rifiutandosi di pagare il pizzo, aveva denunciato e fatto condannare membri della criminalità prima di essere ammazzato in un agguato camorristico sulla sua automobile a Baia Verde. Per l’omicidio di Noviello, titolare di un’autoscuola, è stata riconosciuta responsabile la camorra e segnatamente il gruppo di fuoco di Giuseppe Setola.  Alla Camera il caso era stato sollevato dai giorni scorsi proprio da Di Maio alla Camera:

 Ora, i familiari di Noviello, dopo la condanna a trent’anni degli assassini, avevano diritto al risarcimento dal Fondo di cui stiamo parlando oggi, ma la moglie e una figlia, purtroppo, hanno presentato domanda quando il blocco del commissario era già attivo e la loro richiesta è stata sospesa. Stiamo parlando di una persona che ha denunciato; per aver avuto il coraggio di denunciare è stato ammazzato, i suoi familiari avevano diritto ad un risarcimento e quel risarcimento è bloccato, perché voi lo avete bloccato grazie al commissario che avete nominato. Ti uccidono tuo marito che ha avuto il coraggio di denunciare, hai diritto ad un risarcimento che, comunque, non ti ridarà mai tuo marito e lo Stato ti risponde che i fondi sono bloccati. E, magari, domani, ci sarà qualcuno di voi che andrà a commemorare le vittime di camorra in Campania.

All’interpellanza aveva risposto il sottosegretario Domenico Manzione precisando che stiamo parlando del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e delle richieste di rimborso delle spese legali presentate dagli enti costituiti parte civile nel processo. L’accesso al Fondo, oltre che alle persone fisiche vittime di reati di mafia, è riconosciuto anche agli enti costituiti parte civile nei relativi giudizi penali o civili, limitatamente al rimborso delle spese processuali.

Negli ultimi anni, e precisamente dal 2011 a oggi, si è registrata un’inversione di tendenza che ha visto le associazioni costituite parte civile presentare un numero di domande di accesso al Fondo di rotazione superiore a quello delle stesse vittime. Questa situazione è stata ritenuta, evidentemente, meritevole di approfondimento, al di là di ogni considerazione circa il diverso impatto finanziario conseguente al rimborso delle spese legali agli enti.

Il Commissario ha chiesto un parere al Consiglio di Stato rimarcando che alle associazioni che si costituiscono non sono richiesti «requisiti di affidabilità», il Consiglio di Stato ha risposto che «non è possibile introdurre, per via regolamentare e tanto meno amministrativa, ovviamente, criteri selettivi o requisiti di legittimazione all’accesso al Fondo degli enti costituiti parte civile, diversi da quelli desumibili dal dettato legislativo vigente». Ovvero, se c’è una modifica da fare per garantire “affidabilità” alle associazioni, diverse dalle persone fisiche vittime di reati di mafia, va fatta per legge. Stiamo parlando comunque dei rimborsi per le spese legali, ovvero il pagamento degli onorari degli avvocati, e non di eventuali risarcimenti. Menzione ha concluso che le istanze di rimborso saranno esaminate nelle prossime sedute, visto che il parere è arrivato a febbraio.

In relazione all’orientamento espresso dalla Corte, notificato all’Amministrazione nello scorso mese di febbraio, l’ufficio per le attività del commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso ha reso noto che le istanze di rimborso presentate dalle associazioni ed enti in questione saranno esaminate dal Comitato competente fin dalle prossime sedute.
In conclusione, posso assicurare gli onorevoli interpellanti che il sostegno alle vittime di mafia è un tema che vede l’Amministrazione dell’interno impegnata in prima linea, tanto per l’importanza che esso riveste ai fini del consolidamento di una forte coscienza antimafia, quanto per la delicatezza dei suoi risvolti sul piano umano e sociale.
In questo contesto, l’iniziativa del commissario, da cui è scaturita l’odierna interpellanza, lungi dal poter essere etichettata come espressione di una volontà politica tesa ad eliminare l’intero associazionismo antiracket, va letta, invece, alla luce della duplice esigenza di realizzare la massima trasparenza nell’accesso al Fondo di rotazione e di assicurare l’utilizzo migliore e più proprio delle risorse pubbliche che sono a disposizione.

domenico noviello di maio boschi

La denuncia di Maria Rosaria Noviello e i numeri della Boschi

La replica di Menzione quindi si è soffermata su una questione che riguarda i rimborsi per le spese legali. La situazione sarebbe quindi abbastanza lineare se non fosse che il Mattino di Napoli oggi ha riportato le dichiarazioni della vedova di Noviello, Maria Rosaria, la quale invece fa sapere che ad essere bloccati sono i risarcimenti della famiglia. «Per i familiari venne stabilito un risarcimento ad oggi ancora non liquidato né per Maria Rosaria e né per la madre Luisa; diversamente è invece accaduto per il fratello Massimiliano e le sorelle Mimma e Matilde», scrive testualmente il quotidiano.

L’istanza di Maria Rosaria Noviello e della madre era stata presentata nella primavera del 2015 generando una serie di rimandi burocratici fino ad arrivare alla sospensione dello scorso ottobre decisa dal commissario Riccardo Carpino del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. Il Commissario nelle more del parere chiesto al Consiglio di Stato per l’accesso al Fondo di solidarietà da parte delle associazioni antiracket, alcune in particolare, aveva deciso di bloccare tutte le pratiche. La sospensione ha finito per mandare in tilt l’intero sistema.
Una parte della famiglia di Domenico Noviello, ne è rimasta coinvolta. Il 29 febbraio Carpino è stato destinato ad altro incarico e si dovrà ora attendere la nomina di un altro commissario. «Ognuno risponde a particolari responsabilità, probabilmente il commissario potrà dare migliori risposte per altri settori. Per questo tipo di problematiche c’è bisogno di una straordinaria sensibilità nel rispetto della legge ma anche nel rispetto del doloredeifamiliari.PronteedimmediaterispostecifannosentireloStato più vicino», ha commentato Maria Rosaria Noviello.

Ecco quindi che la situazione appare molto più complicata di come era stata raccontata dai 5 Stelle, e che l’attacco di Di Maio alla Camera sui soldi da destinare ai regali per conquistare voti – «Allora, sottosegretario, io non voglio sapere neanche per quale ragione avete bloccato questi soldi, perché, conoscendovi, potreste aver deciso di usarli per qualche altro dei vostri bonus elettorali, visto che si avvicinano le comunali» – era un chiaro caso di boutade da campagna elettorale acuta. Ma un blocco dei fondi, che riguarda le vittime e non solo i risarcimenti per gli avvocati, c’è stato. Ieri la ministra Maria Elena Boschi ha appunto smentito che si siano tagliati fondi e che si sia fatto cassa sulla pelle delle vittime di mafia, come il tam tam mediatico aveva già cominciato a sostenere: “Lo ribadisco, non c’è stato nessun taglio e i numeri lo dimostrano: per il risarcimento delle vittime di mafia nel corso del 2015 è stato deliberato un importo complessivo di 56,520.287,46 milioni con un incremento del 55% rispetto all’importo erogato nel 2014 pari a 36.441.741,93 milioni. Inoltre nel periodo luglio 2015-febbraio 2016 l’importo complessivo deliberato è di euro 29.423.077,25”. “In aggiunta con l’ultima legge di Stabilità c’è stato un ulteriore aumento di spesa, a partire dal 2016, pari a 250 mila euro annui per borse di studio riservate anche agli orfani e ai figli delle vittime del terrorismo e della criminalità. Si stanno invece definendo criteri più rigidi per l’erogazione dei rimborsi delle spese legali alle associazioni delle vittime della mafia – aggiunge il ministro – analogamente a quanto già avviene per le vittime dell’usura per le quali – conclude – sono tenute appositi elenchi vigilati”. Ad onor del vero, però, bisogna anche sottolineare che Di Maio non aveva parlato di tagli. 

Il padre di una vittima di mafia e la legge bloccata in parlamento

Ma c’è un però. Bruno Vallefuoco è il padre di Alberto, che insieme ai colleghi operai Salvatore De Falco e Rosario Flaminio venne ucciso 20 Luglio 1998 a Pomigliano D’Arco in provincia di Napoli perché scambiati per appartenenti ad un clan rivale a quello dei killer. «Per questo triplice omicidio sono stati condannati all’ergastolo Modestino Cirella, Giovanni Musone, Pasquale Cirillo, Pasquale Pelliccia e Cuono Piccolo come mandanti ed esecutori», racconta il sito Vittimemafia.it. Ieri, dopo la polemica alle celebrazioni di Don Peppe Diana Vallefuoco ha scritto questa status su Facebook che attacca il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (MoVimento 5 Stelle):

…E QUESTI SAREBBERO IL NUOVO CHE AVANZA?
Non sono andato a Casale proprio perché avevo letto le dichiarazioni del Sig Di Maio che annunciava azioni eclatanti durante la commemorazione per don Peppe Diana. Approfittare di quel che doveva essere un momento solenne in Memoria di Giuseppe Diana, Eroe civile e Martire della Chiesa, ma anche in ricordo di tutte le Vittime Innocenti di cui la nostra regione ha, purtroppo il primato, per una mera speculazione elettorale credo sia la cosa più squallida che un politico possa fare.
Ma poi, quando parla di risarcimenti, di fondi sospesi ecc. il sig di Maio sa di cosa sta parlando? da quello che dice, non credo. E poi chiede di vedere i fatti? Ecco, se fossi andato a Casale sarei stato tentato di chiedergli conto dei suoi.
Ma forse, troppo impegnato a girare il Paese per la sua perenne campagna elettorale, dimentica che è lui il vicepresidente della Camera dei deputati, quella stessa Camera dove è ferma, non si sa per quale motivo, una proposta di legge che metterebbe finalmente fine a quella particolarità della legislazione italiana che, unica in Europa, divide le Vittime per categorie: mafie, terrorismo, dovere etc creando delle assurde quanto schifose discriminazioni: Vittime di serie A di serie B, etc , fino ad arrivare alla serie Z, la più reietta di tutte, quella della criminalità cosiddetta comune. Sa il sig Di Maio, Vice presidente della Camera, quante sono le famiglie che avendo perso, insieme alla persona cara, anche l’unica fonte di reddito non sanno più come mettere il piatto in tavola, conosce quanti sono quei giovani che hanno dovuto lasciare gli studi per cercarsi un lavoro ( come se fosse cosa facile) per poter dare una mano dopo l’assassinio di un genitore?

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Lo status di Bruno Vallefuoco su Facebook

Lo sa il sig Di Maio che l’unico, anche se piccolissimo, segno di vicinanza queste famiglie l’hanno rucevuto non dallo Stato, di cui il sig Di Maio con la sua carica è uno dei più autorevoli rappresentanti, ma da altri familiari, quelli che, appartenendo alle categorie “privilegiate” hanno voluto utilizzare una piccola parte di quanto a loro concesso per creare delle borse di studio per quelli meno “fortunati”. No, il sig Di Maio queste cose non le sa, se le sapesse in calce a quella proposta di legge, insieme alla firma di deputati di varie parti politiche, forse ci sarebbe anche la sua e, chissà, utilizzerebbe il ruolo che in nome del popolo italiano gli è stato assegnato, perché quella proposta di legge arrivi finalmente al vaglio della Camera e possibilmente abbia il voto favorevole suo e del suo gruppo, mettendo da parte tatticismi e strategie tipici di quel vecchio modo di fare politico che dicono di combattere. I fatti, avrei detto al sig Di Maio, non si possono solo invocare agli altri, bisogna prima assumersi la responsabilità dei propri.

Ecco: tra la Boschi e Di Maio ha ragione Vallefuoco: la legge bloccata è la vera priorità. Il resto sono solo chiacchiere e burocrazia.

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