Dal Jobs Act parte la sfida di Landini a Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-03-15

L’ipotesi di un referendum sul nuovo contratto di lavoro. Anche tre parlamentari ex 5 Stelle alla riunione. Ma il leader FIOM non vuole politici nella sua squadra. Intanto l’inutile minoranza PD continua con i penultimatum

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Un’ottantina le associazioni che hanno partecipato alla riunione della «coalizione sociale» lanciata dal segretario della FIOM Maurizio Landini. Presenti all’incontro Arci, Libera, Emergency, Libertà e Giustizia e i comitati per l’acqua pubblica. L’incontro era a porte chiuse, ma la prima proposta del nuovo raggruppamento sarà quella di un referendum sul Jobs Act.
 
DAL JOBS ACT PARTE LA SFIDA DI LANDINI A RENZI
Landini non vuole fare un partito, ma la strada sembra proprio quella. «Il nostro problema è riaprire una rappresentanza politica del lavoro» che contrasti la «coalizione sociale che il governo ha stretto con Confindustria». Un soggetto più largo a sinistra vuole costruirlo Sel, spiega Nicola Fratoianni, perché bisogna “unire le forze” per riuscire a incidere. Ma il partito di Vendola per ora non trova terreno fertile nel Pd. Dopo che Gianni Cuperlo ha evocato il rischio di una rottura del partito sulle riforme, il premier gli ha chiesto di incontrarsi (ma un incontro sarebbe già avvenuto qualche settimana fa). E parole concilianti le pronuncia il tesoriere Francesco Bonifazi, convinto che “la scissione non ci sarà”. “Il Pd è casa mia”, non si stanca di ripetere Bersani, che continuerà a pretendere modifiche all’Italicum e a Renzi chiede di “fare sintesi”. Dalla coalizione di Landini, sostiene l’ex segretario, “non può venire fuori un soggetto politico in grado di dare risposte” ma una “strategia che riguarda il sindacato”.Il Corriere della Sera racconta parte della riunione, dalla presenza di tre parlamentari ex 5 Stelle alla riunione insieme a quelli di SEL, fino all’intenzione di raccogliere le firme per un referendum sul Jobs Act:

L’avversario di Landini non tanto è la sinistra Pd, e nemmeno quella indefinita galassia a sinistra del partito. Per ora i suoi sforzi si concentrano proprio sul governo e i renziani: «Vorrei ricordare — scandisce e stavolta si sente bene — che siamo di fronte a una novità assoluta:non era mai successo che il governo cancellasse dei diritti senza un confronto con i sindacati e le persone interessate». Il punto è proprio questo. Perché la coalizione sociale proseguirà i suoi lavori con il solito metodo dei tavoli per arrivare ad una proposta sui singoli temi, dalla scuola all’ambiente.
Ma il cuore di tutto è il lavoro: «È il tema più trasversale, perché riguarda tutti e perché non si parla solo di regole,di decreti e di Jobs act, ma della vita delle persone. La qualità del lavoro è la condizione per gli altri diritti di cittadinanza». La raccolta di firme per il referendum abrogativo sul Jobs act non solo è una certezza. Ma potrebbe diventare la prima di una serie che toccherebbe altri temi.

L’obiettivo di Landini però non è quello di trovare sponde parlamentari per la sua coalizione, anzi: cerca di tenersene il più lontano possibile.

Fare politica ma fuori dal Parlamento. Non a caso tra le associazioni invitate ci sono anche i promotori del referendum (vinto e archiviato) sull’acqua pubblica. «È chiaro che se nelle Camere nessuno ci ascolta quella è una strada», chiarisce Landini. Anche per questo le porte restano chiuse a chi ha incarichi politici. Anche per i parlamentari ex Movimento 5 stelle: nella sede di Fiom si presentano Laura Bencini, Maria Mussini e Maurizio Romani. Ma dopo meno di due ore lasciano la sala, invitati ad uscire proprio per rispettare il «divieto».
Quelli di Sel, che tanto volevano esserci, evitano di farsi vedere. Si affaccia qualche ex, come Alfonso Gianni, un passato in Rifondazione. Ma è solo un attimo. Almeno in prima linea Landini non vuole la vecchia sinistra Arcobaleno. Anche se sociale, coalizione fa sempre rima con rottamazione.

E L’INUTILE MINORANZA PD CHE DICE?
Il prossimo appuntamento della coalizione sociale di Landini è il 28 marzo, in una manifestazione indetta dalla FIOM CGIL. Mentre un retroscena di Francesco Bei su Repubblica ci spiega come l’ha presa Renzi: «Landini ha gettato la maschera — osserva il premier con i suoi — e così facendo si capisce meglio il segno delle manifestazioni dell’autunno contro di noi». Non a caso Lorenzo Guerini, il vicesegretario del Pd, ritiene l’iniziativa del leader Fiom come la «conferma» che «l’opposizione di questi mesi era più politica che sindacale». Da palazzo Chigi si fanno spallucce. La risposta che arriva dal governo all’offensiva landiniana è un laconico «massimo rispetto per tutti, ma noi dobbiamo occuparci di questioni che interessano gli italiani». Il sottotesto è che il “coming out” del sindacalista appartiene alla sfera delle manovre politiche e poco ha a che fare con la concreta situazione economica e sociale italiana. Dove invece «si moltiplicano i segnali positivi grazie anche alle riforme e al lavoro fatto in Europa». Tutt’altra reazione viene dalla minoranza PD, ieri riunitasi a Bologna, la cui preoccupazione maggiore è stata far capire che nessuno ha intenzione di uscire dal partito:

Parole d’ordine concrete della “ditta” bersaniana, che non è però la riscossa degli ex Ds-Pds-Pci, ma il ritorno all’anima ulivista. «Perme la ditta è sempre stata quella cosa lì, l’Ulivo…», confessa l’ex segretario. Prodi, il padre dell’Ulivo, non c’è. Non c’è Stefano Bonaccini, l’ex bersaniano passato al renzismo e diventato“governatore” dopo che Vasco Errani — in prima fila e ringraziato — si è dimesso per la condanna per falso ideologico. La “ditta” riunita vuole stare dentro il Pd «con tutti e due i piedi e un proprio punto di vista». Una sinistra che non è certo quella di Landini, attaccata anzi da Roberto Speranza — leader di “Area riformista” e “delfino” bersaniano. Del resto sul Jobs Act, Speranza e Cesare Damiano sono stati “trattativisti” con il governo. A Bologna ci sono i bersaniani al governo (Martina, De Micheli, Pizzetti) e in segreteria (Amendola, Campana), Gotor, Epifani, D’Attorre, Giorgis.
Il disagio di stare dentro il PdR, il Pd di Renzi, ha diverse sfumature, ma la sfida è di riconquistare il partito. Bersani non deroga: «Dicono “se non siete d’accordo allora andate fuori”, no vai fuori te che questa è casa mia». È l’offensiva, applauditissima. La domanda del resto è: «Sa fumìa?», in emiliano “cosa facciamo”. Il problema — rilancia Bersani — e quello che avvertono tutti coloro che non sono andati a votare in Emilia Romagna, che non hanno rinnovato il tesseramento del Pd infatti «dimezzato». «Dei molti che sentono il rischio di spaesamento, scollamento e allontanamento». Si deve ricominciare dai territori e perciò viene affidato a Nico Stumpo, a Mauri e a Pegorer l’incarico di radicamento della sinistra dem. Nessuna ipotesi di scissione. «Non ci sono Bertinotti qui», è l’appunto che Speranza ha sul foglio ma poi preferisce toni più misurati: «Scissione è una parola fuori dal nostro vocabolario».

Insomma, la sinistra PD sceglie ancora la via dei penultimatum. E se lo squadrone di Landini non sembra un granché, la sensazione di inutilità Bersani & Co. non riescono proprio a scrollarsela di dosso.
Foto copertina da Flickr

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