Cosa è cambiato davvero dopo le elezioni di Roma

di Dario Lapenta

Pubblicato il 2016-06-07

Il flop di Marchini e la leadership del centrodestra in bilico. I partiti radicali inghiottiti dal successo di Grillo. E un campanello d’allarme per il referendum di ottobre

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Cos’è cambiato veramente dopo le comunali romane? Il Pd ne esce chiaramente indebolito. La paura dell’ascesa di partiti estremisti anti-sistema è scongiurata. Ma la vera notizia è che Berlusconi ha perso la leadership del centrodestra.

Un risultato che preoccupa il governo

A Roma come in altre città il Pd perde consensi fra gli elettori. Il risultato del 24,87% ottenuto dal Pd romano con Roberto Giachetti può dirsi deludente, se lo si paragona a quelli delle precedenti elezioni. Praticamente il -18% dei consensi rispetto alle scorse amministrative, che videro il candidato sindaco Ignazio Marino prendere il 42,60% delle preferenze. E ora il governo teme che quest’andamento non proprio favorevole potrebbe rivelarsi incisivo per il referendum costituzionale di ottobre. La retorica del premier infatti sembra improntata a voler presentare il referendum in una veste anti-casta, facendo leva per lo più sulla diminuzione del numero dei parlamentari.

Il flop di Marchini e la leadership del centrodestra

Per Alfio Marchini un flop totale. L’appoggio di Forza Italia è riuscito a spostare sul candidato soltanto 1,5% delle preferenze in più rispetto alle precedenti elezioni. Alle comunali del 2013 Marchini prese il 9,5 per cento. La Meloni scalza il candidato di Forza Italia di oltre 9 punti, attestandosi al 20,64 per cento. E questo è un chiaro segno che sancisce la probabile fine di un’era: Berlusconi ha definitivamente perso la leadership del centrodestra. E’ stata anche l’incoerenza a punire Marchini. Aveva incentrato la sua campagna elettorale sul fatto di essere ‘libero dai partiti’, salvo poi allearsi con Forza Italia all’ultimo momento. E questo improvviso cambio di rotta ha indubbiamente avuto un peso notevole, stando alla bastonata arrivata dalle urne. Nemmeno con l’elogio del duce e l’uscita infelice sulle unioni gay è riuscito a grattare qualche voto in più alla Meloni. Ma lui incolpa gli elettori, rei di “non aver capito l’alleanza coi partiti”. Pazienza. Non diventerà sindaco, ma sicuramente non resterà disoccupato, dato che ha un reddito di circa 1 milione di euro.

Nessuna ascesa per i partiti estremisti

Nessun exploit per i neofascisti di CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, che sognavano perlomeno di triplicare i voti nella Capitale, riescono soltanto a raddoppiarli. Ma non è un gran risultato, dato che alle scorse elezioni hanno preso solo lo 0,62 per cento. Con l’1,14% delle preferenze i neofascisti rimangono ancora una volta fuori dalle istituzioni, anche se il candidato sindaco Simone Di Stefano si dice pronto a “costruire un soggetto politico in grado di puntare al 3% nazionale”. Il Partito Comunista di Rizzo, l’unico col simbolo falce e martello a comparire alle elezioni capitoline, non raggiunge il successo sperato. Il candidato sindaco simpatizzante della Corea del nord Alessandro Mustillo non riesce neanche a superare CasaPound. Si ferma allo 0,8 per cento. Un flop eclatante anche per la lista “Patria” di Alfredo Iorio, sostenuta da Forza Nuova, Movimento Sociale Italiano e altri micropartiti di estrema destra che tutti insieme non sono riusciti a racimolare che lo 0,21 per cento. E gli altri partiteli reazionari nati sull’onda del disprezzo dei diritti civili ottengono altre cifre da prefisso telefonico. Mario Adinolfi si ferma allo 0,6 per cento e Italia Cristiana di Verduchi allo 0,12.

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