Quando Alemanno voleva cacciare i nomadi da Roma

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2014-12-05

L’ex sindaco di Roma ieri a Virus ha detto che non ha risolto l’emergenza nomadi per colpa delle sinistre e delle associazioni cattoliche. La verità è che l’emergenza nomadi era illegale

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Ieri sera l’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno era ospite di Nicola Porro a Virus. Tema della serata naturalmente erano i guai giudiziari di Alemanno, coinvolto nell’indagine su Mafia Capitale per i suoi presunti rapporti con alcuni esponenti della criminalità organizzata capitolina. In collegamento c’era anche il sindaco di Verona Flavio Tosi.

ALEMANNO E I ROM
Ad un certo punto in trasmissione dopo un filmato sulla situazione degli stranieri che arrivano in Italia iniziano a parlare di immigrati e campi nomadi, Tosi a proposito della gestione dei campi Rom nella sua città dice:

C’era un campo rom non abusivo a Verona, realizzato dalla precedente amministrazione e costato 2 milioni di euro. Un costo inammissibile. Appena ci siamo insediati, l’abbiamo chiuso. Il campo è stato svuotato dopo il nostro ultimatum.

Alemanno invece tenta di spiegare così perché durante i suoi cinque anni da Primo Cittadino della Capitale non è riuscito a risolvere “l’emergenza rom”. Problema che, come si apprende dalle indagini è stato abilmente sfruttato dalla cupola mafiosa romana per trarne guadagni illeciti. Ecco cosa ha detto Alemanno ieri sera a Virus:

A Roma, questa cosa non è stata possibile farla per tutti i campi rom per colpa della sinistra e delle associazioni cattoliche.

Insomma, lui ce l’avrebbe messa tutta ma i soliti buonisti desinistra, spalleggiati dalle associazioni cattoloche, si sono messi di traverso e hanno impedito ad Alemanno di fare piazza pulita degli zingari della Capitale.

Alemanno durante lo sgombero dei campi abusivi sotto ponte della Magliana (fonte: Facebook.com)
Alemanno durante lo sgombero dei campi abusivi sotto ponte della Magliana (fonte: Facebook.com)

IL PIANO NOMADI
La realtà delle cose però è diversa da come ce l’ha raccontata Alemanno ieri sera. Il 21 maggio 2008 l’allora Governo Berlusconi dichiara lo stato di emergenza nomadi che in sostanza paragonava la presenza delle comunità rom era paragonabile a una calamità naturale o una catastrofe. Inizialmente il decreto riguardava solo tre regioni: Lazio, Campania e Lombardia, ma è stato in seguito esteso a Piemonte e Veneto nel 2009. Le disposizioni del decreto, che fu subito accusato di essere una forzatura della legge 225 del 1992 in materia di stato d’emergenza, prevedevano che i Prefetti di Napoli, Roma e Milano venissero nominati Commissari Straordinari per l’Emergenza Nomadi. Facendosi forza del decreto Gianni Alemanno allora annuncia un grande piano di sgomberi dei campi nomadi di Roma allo scopo di ridurre le presenze dei nomadi nella Capitale. Il tema nomadi infatti era uno dei cavagli di battaglia del sindaco fin dalla campagna elettorale per le amministrative.

Il Piano Nomadi prevedeva quindi sgomberi forzati sia degli insediamenti abusivi che di quelli “autorizzati”. All’epoca Alemanno disse che Roma non poteva accogliere più di seimila nomadi e che quindi quelli “in più” dovevano andarsene ed essere sgomberati. Una marea di proclami battaglieri, di sgomberi annunciati e reiterati. Finiti nel nulla. E non per colpa delle sinistre e delle associazioni cattoliche, ma perché il 16 novembre 2011 (sentenza 6050) il Consiglio di Stato nel merito del ricorso presentato da alcune famiglie di nomadi ha dichiarato illegittimo il decreto governativo del 2008 relativo all’ “emergenza nomadi” rigettando la sentenza del TAR del Lazio che si era espresso a favore del Governo. Nella sostanza il Consiglio di Stato ha giudicato che sia stata compiuta, con il decreto sull’emergenza nomadi, “una violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, nr. 225 per insufficienza e contraddittorietà della motivazione (in relazione all’assenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza)” e una “violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge nr. 225 del 1992 e del principio generale del divieto di ogni forma di discriminazione razziale; insufficienza e contraddittorietà della motivazione (in relazione alla natura discriminatoria dei provvedimenti impugnati)“.
Foto di copertina via Facebook.com

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